08072001   In crociera da oggi nel Mediterraneo occidentale per sette giorni, con Rosanna mia ovviamente. Partenza da Genova, con la stessa nave, l’Azur, sulla quale abbiamo viaggiato nel 1996, percorrendo allora rotte nel Mediterraneo orientale. Avevamo prenotato una cabina d’un certo livello, a prezzo piuttosto elevato: per motivi che non ho ritenuto indispensabile indagare, ce ne hanno assegnata un’altra di pregio e qualità più rilevanti, una suite addirittura, ampia, con letto matrimoniale, nella quale gettano luce due grandi oblò rettangolari.

In attesa della partenza, più volte attraverso gli stessi butto lo sguardo sulla sagoma gigantesca della European Vision, transatlantico della medesima compagnia Festival proprietaria anche dell’Azur, attraccata lungo l’altro versante dello stesso molo (o ponte). L’European Vision, nave di dimensione veramente mastodontica (di stazza maggiore, forse, del mitico e sfortunato Titanic), è assurta di recente a rinomanza mondiale, perché tra due settimane alloggeranno su di essa sette degli otto capi di stato e di governo dei paesi più ricchi e potenti del globo, convenuti a Genova per celebrarvi il cosiddetto G 8, evento da settimane ai primi posti in tutti i mass media del pianeta, contro il quale il così nominato popolo di Seattle si accinge ad opporsi con ogni mezzo, nel contesto della lotta da qualche mese divampata contro la demonizzata globalizzazione. Orbene, l’European Vision è diventata nell’immaginario dei contestatori il simbolo del sistema sociale ed economico iniquo vigente nel mondo, due giorni fa, in occasione d’un suo scalo a Napoli, i sedicenti rivoluzionari antiglobalizzazione hanno tentato, respinti, di irrompervi dentro.

Il rito della prova di salvataggio giusto nel momento in cui la European Vision molla gli ormeggi: spiegazioni e dimostrazioni in quattro lingue. Mero rito questo perché sono convinto che, in caso di necessità d’evacuazione del bastimento, tutti o quasi dimenticherebbero all’istante le informazioni fornite e l’abbandono della nave avverrebbe nel massimo disordine.

Suggestiva alle cinque della sera la partenza dal porto di Genova, sotto un cielo azzurro irrorato di luce solare, mentre spira un vento di mare abbastanza intenso. Il panorama della città, arroccata attorno al golfo e lungo le pendici della collina in aggrumazione di edifici eterocliti – casermoni orrendi inframezzati da palazzi e altre costruzioni d’una qualche nobiltà – guardato dal mare mentre la nave si protende verso il largo, ha una sua per quanto dissonante grazia, collutta con l’immagine ormai interiorizzata di Genova città brutta.

 

09072001   Intera giornata in navigazione. Dalle otto e mezza di mattina, allorché l’Azur lascia il porto di Civitavecchia. Sole splendente nel cielo sgombro di nubi, mare blu cobalto sommosso da una brezza non fastidiosa. Indugiamo, nel fulgore ascendente delle undici antimeridiane, appoggiati a prua alla balaustra, con gli occhi immersi nella profondità senza confini del blu marino, stagliato fino all’orizzonte lungo una linea netta eppur evanescente, sopra la quale aleggia la tinta più tenue del cielo celeste. A qualche miglia, soffusa in bruma grigiolina, a lacerti traspare la sagoma collinosa della costa italica.

A bordo per lo più gente volgare, di svariate nazionalità. Chiacchierano e sghignazzano rumorosamente, esibiscono presso che nudi corpi grotteschi, deformi e laidi per cascami tracimanti di orride carni. Attaccati come naufraghi miserabili ad oscene, mortifere sigarette, delle quali odio con ostilità aggressiva il fetore pestilenziale. Arraffano dal buffet montagne invereconde di cibarie, ingurgitano e replicano il rifornimento, evidentemente sobillati a consumazioni pantagrueliche dalla circostanza che la fruizione è a discrezione.

Di primo pomeriggio, seduti Rosanna ed io a meta del camminamento esterno della nave, in alto, al livello detto Lounge Deck. Il mare lievemente ondeggia sotto i nostri occhi, dallo spettacolo ammaliati, la nave procede lentamente verso Napoli, radi i passanti in transito dietro le nostre spalle. Son tutti aggrumati attorno alla piscina, frastornati da egutturazioni e suonacci cacofonici: sarebbero atterriti, sconvolti, se dovessero fare i conti con se stessi in solitudine.

Ingravescentem aetatem….. provo un’avversione sempre più cospicua per l’umanità, per la gran parte almeno dei deambulanti che si è costretti a catalogare in siffatta categoria. L’orbe terracqueo sarebbe sito dell’universo davvero attraente se non infestato dalla masnada che è la percentuale più espansa dei bipedi viventi.

Protratta percezione non solo visiva prima dell’avvicinamento a Napoli, quindi dell’entrata nel porto. L’immane cascata di abitazioni costruite, fuor d’ogni criterio di prudenza, alle falde del Vesuvio, sopra impendente corrusco, con l’aspetto di un gigante temporaneamente addormentato. Da tre colossali camini d’uno stabilimento industriale irrompono nel cielo da esse offuscato tre fiumane di fetido fumo. Navi da crociera, yachts, natanti di varie stazze, nazionalità e condizioni di conservazione intasano il porto: l’Azur a fatica riesce infine a trovare un molo lungo cui attraccare.

Breve indugio serale nel salone delle feste, ove è in corso uno spettacolo canoro e d’arte varia, definiamolo così. Chissà perché, in siffatte circostanze,  la musica e le voci impazzano fiondate a gradi d’intensità frastornanti. Probabilmente per soffocare ogni impulso di pensiero il quale  costringerebbe anche i più ottusi a constatare che il tasso di allettamento di siffatte manifestazioni è assettato a livello zero. A me gli individui forzati a gesticolare e ad egutturare per intrattenere in allegria svagati e storditi vacanzieri hanno provocato sempre tristezza, pena e compassione.

Ce ne andiamo presto dal postaccio, perché il fetore di fumo è subito insopportabile, a causa della torma progressiva di figli e figlie di troia ciuccianti sigarette e sigari. Rosanna per il fumo di tabacco prova idiosincrasia fisica abissale: ne avverte con ribrezzo l’osceno olezzo allorché un tossico maledetto coltiva il proprio miserabile vizio a distanza anche cospicua da lei. La mia avversione è invece di natura prevalentemente ontologica ed etica e, per tale sua origine, inclina pericolosamente all’aggressività e alla violenza.

Appoggiati alla balaustra del camminamento di babordo, ammiriamo conciliati con l’essere il mare abbuiato, nel tepore della notte placida e senza vento. Dapprima non riesco a inquadrare la forma luminosa rossiccia quasi circolare che si staglia appena sopra l’orizzonte, l’interpreto come alone di chiarore emanante da nave transitante in lontananza; fino a quando l’evidenza si configura, con il contributo ermeneutica di Rosanna: è la luna sorgente quella enigmatica presenza, mai da me finora osservata in punto di così immediata e stretta convergenza con la linea distintiva della terra, di tale forma e così insolitamente colorata.

   

10072001   Arrivo all’isola di Malta nel primo pomeriggio, dopo circa sedici ore di ininterrotta navigazione. Poniamo piede a terra fasciati dalla possanza d’un solleone tropicale che inonda l’arido paesaggio d’un calore affocante.

Compatta ed omogenea tutta l’architettura di Valletta, edifici quasi tutti di due piani, costruiti con lastre giallastre di tufo, aggrumate ed addossate in grovigli disordinatissimi i quali però, per l’estesa uniformità di tutte le configurazioni, finiscono con l’iscriversi disciplinatamente in un loro ordine peculiare.

In pullman breve tragitto dalla nave alla piazza antistante la porta d’ingresso alla città, al centro della quale troneggia una fontana con tritoni. Povertà e decoro: nelle vetrine dei negozi, negli abiti dei residenti, nelle facciate delle case, bisognose quasi tutte di restauri.

Volonterosa ed informata la guida, una signora di mezza età. È indigena, racconta con precisione e buona correttezza linguistica dei cavalieri di Malta, dei vari occupanti dell’isola, degli inglesi in particolare, avverso i quali non nasconde la sua antipatia. Dà anche, allo svogliato e distratto armento dei suoi accoliti, notizie sulle epiche vicende belliche qui svoltesi, nel corso della seconda guerra mondiale.

Statue di cartapesta di papi, santi e angeli, di grandezza naturale, cromaticissime, issate sopra alti piedistalli ugualmente policromi. Forte attaccamento della popolazione maltese alle sue tradizioni religiose, feste e processioni, celebrate ovunque nell’isola.

Cattedrale di San Giovanni: vistoso contrasto stilistico tra la facciata di solide forme rinascimentali, sobria d’ornamenti e decorazioni, e il fastoso interno, farcito di abbellimenti barocchi, compatti ed omogenei comunque, sì che la consonanza dell’insieme fa aggio sulle dissonanze individuabili nei particolari.

L’intera volta dipinta con colori ad olio da Mattia Preti, pregevole artista settecentesco, fattosi infine anch’egli cavaliere di Malta e qui sepolto, sotto lapide di marmi intarsiati, copiosamente istoriata di scritture, così come tutte le altre di cavalieri, centinaia e centinaia, che tappezzano, disposte in ordine rigoroso, l’intero vasto pavimento della chiesa. Le urne dei Gran Maestri invece campeggiano nelle cappelle laterali, tutte costruite secondo la maniera dei monumenti funebri seicenteschi e settecenteschi.

Copia d’una tela di Caravaggio, San Girolamo, in una cappella: l’originale, un dipinto di grande potenza e intensità del sommo maestro, è ammirabile nell’annesso museo, assieme ad altro capolavoro assoluto dell’artista, La decapitazione di San Giovanni Battista. Dovrei, assieme a Rosanna mia, in ogni modo e senza esitazione dedicarmi alla privilegiante visione, la quale da sola giustificherebbe il viaggio fin qui e l’anteposizione ad ogni altra attrattiva del luogo: ma niente da fare, le visite guidate sono una sciagura senza scampo e consentono di vedere in effetti nulla: perché il tempo è tiranno, la buona donna che conduce l’eteroclito gruppo procede a spron battuto, rischio c’è di debordare rispetto all’ora tassativa dell’imbarco, per cui ….. addio Caravaggio (delle pitture insigni del quale al gregge entro cui Rosanna ed io stiamo casualmente intruppati con tutta probabilità nulla di nulla cale).

Un interrogativo da giorni (dall’occasione della visita alla magnifica mostra romana “Caravaggio e il genio di Roma”) m’assilla: qual torto, offesa o sgarbo aveva mai arrecato il Merisi, notoriamente per altro attaccabrighe, manesco, violento ed irridente, al Gran Maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta (che pure concupiva le tele dell’inarrivabile pittore approdato fuggiasco nella remota isola) per essere da questi a un certo punto sbattuto in galera e, dopo la rocambolesca evasione, perseguitato fino a Napoli mediante inseguimento di emissari/sicari che tentarono di fargli la pelle? Alla vigilia della morte Caravaggio sperava ancora di rabbonire l’incazzatissimo Gran Maestro: donandogli un altro suo quadro, rimasto poi a Napoli nel museo di Capodimonte.

Malta è un grumo ininterrotto di edifici abitativi, case e case di modesta ed omogenea dimensione si protendono fin dove la vista si estende. Favolosi squarci panoramici del mare di cobalto. Arsura dappertutto, rade piante povere d’ombra sparse qua e là, abituatesi a nutrimento assai scarso d’acqua. Visione del porto e delle possenti sue fortificazioni. Anche essendo digiuni di nozioni militari e di strategia navale, facilmente si intende perché questa piazzaforte ha avuto per secoli importanza primaria ed è stata tanto accanitamente contesa: l’hanno resa ideale non solo la posizione davvero incomparabile ma anche l’ampiezza dei bacini interni, in grado di ospitare flotte poderose.

Partecipo a Rosanna una riflessione circa l’assolutezza e la definitività delle azioni di Napoleone Bonaparte: transitò di qua nel 1798, in navigazione verso l’Egitto, occupò in un batter d’occhio l’isola e ne soppresse il governo dei cavalieri: i quali non riuscirono più a ripristinare il loro potere, soppiantati nella dominazione dagli inglesi.

Percorso in pullman lungo dissestate strade dell’isola, prima urbane e suburbane poi campestri. L’autista del torpedone guida con effervescente e ludica incoscienza (stando a sinistra delle strade, secondo la consuetudine britannica): supera alla sperindio, frena all’ultimo istante, sbaglia sistematicamente tutte le curve, sfiora i muri delle case. L’accompagnatrice invece seguita a far mostra di professionalità: discetta con pertinenza dell’economia, del sistema scolastico, della lingua maltese, che fatica a persistere schiacciata dall’inglese come in precedenza dall’italiano.

Arriviamo a M’dina, antica capitale dell’isola prima dell’insediamento dei cavalieri a Malta, situata sulla collina, costituita da nobili edifici ben conservati e non deturpati da alcuna costruzione dissonante. Quiete tutt’attorno. Originali i battenti delle porte: tutti differenti, molto elaborati ed arzigogolati.

Nell’immancabile negozio di souvenir, reprimo a fatica l’impulso di acquistare una sciabola, una mazza ferrata, una bipenne o un archibugio: recedo infine, sia per il costo non indifferente degli oggetti, sia per l’inconveniente che la detenzione dell’arma provocherebbe, al momento del reimbarco. 

 

11072001   Stamattina il mare è abbastanza agitato. Dall'oblò della cabina scruto il profilo della costa africana, visibile malgrado la foschia a una distanza di forse tre miglia. Ad ovest s'impone alla vista un rilievo montuoso di una certa consistenza, con in primo piano una vetta di forma spiccata e regolare. Lungo l'intera linea di costa greggi ininterrotti di piccole case bianche. Soffia un vento di media intensità, dal quale l'afa africana è in larga misura attenuata, sì che la temperatura non raggiunge livelli particolarmente elevati.

Non poco ridicola l'attesa di tutti gli escursionisti nel salone Azur, oltremodo protratta, opino per lungaggine dei controlli burocratici. Anche in questa circostanza s'appalesa l'idiozia strutturale della gente: in barba alla supplica reiterata in cinque lingue a sedersi e a permanere così, decine di mentecatti di tutte le nazionalità fanno orecchie da mercanti, restano imperterriti in piedi, intasando ed ostruendo il corridoio d'uscita. Il comportamento della folla in attesa dello sbarco è paragonabile a quello di scolari di scuola primaria in attesa di mezzo di locomozione che li porterà in gita.

Davvero curioso, per non dire grottesco, l'atteggiamento delle autorità tunisine: stamattina qui controllano con severo rigore i croceristi smaniosi di scendere a terra a scialare monete forti in cianfrusaglie mentre, come si sa, chiudono tutti gli occhi (probabilmente agevolano) sull'esodo clandestino dei disgraziati loro connazionali che, magari scappando proprio tramite questo porto, tentano (quasi sempre ci riescono) d'entrare ospiti avversati in Italia.

I piedi sul suolo africano, infine. Respiro l'aria calda ma non asfissiante per intervento moderatore della ventilazione. Mi trovo quasi subito in una situazione imbarazzante e per me del tutto inconsueta: una urgenza molto forte e quasi irresistibile di mingere (mentre abitualmente io riesco a trattenere senza fastidio l'impulso all'emissione dell'urina per ore), corredata da dolori addominali abbastanza consistenti (causa prima, forse, della pulsione menzionata). Attraversamento in pullman di La Goulette, zona del porto di Tunisi. Edifici bianchi e bassi, rada la gente transitante, ambiente ordinato ma che, se si acuisce lo sguardo indagatore, dà l'impressione di una certa qual sporcizia, di una carenza d'igiene alquanto accentuata.

La guida turistica, un indigeno di nome Said, si rivela subito come appartenente a tutti gli effetti alla tipologia di chaperons peculiari accompagnatori ormai di girovaganti distratti e incolti, ai quali nulla cale di vicende storiche e monumenti, che compiono le escursioni perché così s'ha da fare, dimentichi dopo un minuto di quel che hanno visto e sentito: sa quattro nozioni di storia e le propina alla grossa, per dovere d'ufficio invita i gitanti a sogguardare i manufatti architettonici nei quali ci imbattiamo durante il tour motorizzato, soprattutto condisce i messaggi suoi di battute e facezie, nel suo convincimento atte a far convergere su di lui l'apprezzamento degli accoliti (e magari con tutta probabilità davvero così è). È doveroso comunque che io ulteriormente specifici che, al momento, la mia disponibilità alla sopportazione è ulteriormente contratta, dall'inconveniente sopra accennato.

Attraversata quasi interamente Tunisi, il pullman perviene infine nel villaggio residenziale di Sidi Bou Said ove sostiamo. Luogo è questo in cui risiedono i privilegiati di Tunisi, ville bianche e azzurre immerse nel verde: tra ulivi, palme, fichi d'India, agavi, pini, oleandri (queste le piante che la mia non eccelsa competenza botanica mi consente di riconoscere).

Debbo assolutamente pisciare, anche Rosanna mia ha necessità di soffermarsi in una toilette: entriamo di necessità in una cafeteria in cui, sentito se accettano lire italiane ed avutane conferma, ordino un thè alla menta. Espletata finalmente la bisogna in un buco di cesso senza luce e notevolmente lurido, bevo un poco del bollentissimo thè, sul quale galleggiano semi biancastri: a parte la temperatura micidiale sarebbe bevanda anche gustosa e lo sorbirei, se non venissi dissuaso dalla visione di tutta la sporcizia circostante (e sì che io non sono per nulla un fanatico dell'igiene).

Al momento del pagamento capita un episodio veramente interessante, esemplarmente sintomatico della inclinazione irresistibile di queste genti nordafricane al raggiro e all'imbroglio, almeno nei riguardi degli scimuniti occidentali che si spingono qui a curiosare. Mi vengono chieste tremila lire, porgo al gestore (vicino al quale sta un altro tizio) una banconota da diecimila. Dalla manfrina che i due fanno intuisco  che non hanno il resto da darmi (o non intendono impegnarsi nell'ardua impresa). Tiro allora fuori dal borsello due biglietti da mille e ne chiedo un terzo a Rosanna. Il barista prende il danaro che gli allungo e dal suo atteggiamento appena successivo si capisce che considera completata la transazione. Gli soffio in faccia che no, deve restituirmi le diecimila lire. Lui allora chiama il compare, nel frattempo allontanatosi e in procinto di uscire dal tugurio, il quale trae di tasca una manciata di banconote per farmi vedere che tra di esse non c'è quella che io pretendo. Poiché non desisto dalla richiesta, anche il gestore tira fuori dalla saccoccia un pugno di soldi, evidentemente per convincermi dell'assurdità della mia pretesa. Purtroppo per lui però, probabilmente per errore o non avendo previsto la mia cocciutaggine, tra le carte monete che esibisce c'è giusto la mia banconota (o comunque diecimila lire): che gli strappo con qualche rudezza di mano. Preceduto da Rosanna, esco in strada divertito e disgustato. Ho sbagliato però: dopo aver recuperato il mio danaro avrei dovuto comunque lasciarlo allo sciagurato esercente, a compenso della lezione di antropologia culturale impartitami e dello spunto offerto a questa mia annotazione.

Rosanna acquista una teierina: dopo contrattazione che ha dimezzato il prezzo rispetto alla richiesta di partenza. Due direi che sono i tratti distintivi di questi commercianti tunisini: l'inclinazione all'imbroglio da un lato, la vocazione alla contrattazione (che poi connota tutte le popolazioni non ancora transitate alla cultura del supermercato e del costo fisso).

Successiva sosta nell'area archeologica di Cartagine, sempre al seguito della guida Said il quale, morso dalla tarantola, procede come un ossesso e ogni cinque minuti avverte che la nostra è una visita cronometrata. Dentro il parco, decine e decine di capitelli di colonne allineati; incombe però una mistificazione: la gente crede che si tratti di resti della città punica, mentre in effetti questi sono avanzi della città romana di Chartago, ricostruita ai tempi di Cesare e Augusto e definitivamente distrutta dagli Arabi nel VII secolo. Della Cartagine annibalica, dai Romani demolita fino all'ultima pietra, resa zona sterile ed interdetta dapprima arandone il sito ove sorgeva quindi spargendovi sopra sale, rimangono qui poche vestigia davvero, alcuni lacerti di muri delineanti edifici.

Dall'acropoli su cui ci troviamo il panorama offerto alla visione è davvero incomparabile: la zona residenziale subito sotto, in primo piano, appena oltre il mare azzurrissimo raccolto entro un vastissimo golfo, sullo sfondo una catena montuosa, di bella forma se pure non particolarmente eminente.

Lungamente mi soffermo con lo sguardo sopra i derelitti lacerti della città punica, fondamenta, spezzoni di mura, cunicoli: più immaginando che sensorialmente percependo.

Un museo è ospitato in un grande edificio, preceduto da porticato sorretto da vigorose colonne attorcigliate. Ovviamente mi è consentita, dagli incitamenti reiterati della guida a procedere di gran carriera, soltanto una fruizione a volo d’uccello: non vedo presso che nulla dovendo del tutto accantonare il mio stile abituale d’approccio; constato soltanto che si tratta di raccolta d’alto rilievo, meritevole di ben altro contatto, approfondito e sistematico.

Mosaici romani, tra i più suggestivi ed evocativi da me ammirati, di dimensioni estremamente estese. Fascinato al cospetto di due stupendi sarcofagi punici (scampati alla furia demolitrice dei Romani in quanto inumati nella sabbia) sormontati rispettivamente da un bassorilievo con figura maschile e da uno con figura femminile, con ogni evidenza gli ospiti delle urne, coniugi da millenni giacenti fianco a fianco. Rilevo una intensa affinità stilistica, nella plasmatura delle immagini, con l’iconografia funeraria degli Etruschi.

Nel meriggio incombente fustigato dalla possanza del sole, Tunisi si difende dall’aggressione pulsando con ritmo ridotto a manifestazioni minimali di vita: è un connotato che accomuna, forse, tutte le città definibili meridionali. Il rallentamento delle facoltà percettive provoca inconvenienti: per esempio alla circolazione stradale che, già di per sé ludicamente caotica, si svolge ora sotto il segno della più totale incoscienza.

Tornati a bordo, per un paio d’ore almeno, Rosanna ed io contempliamo – di tanto in tanto, distogliendo gli occhi dai libri in lettura – il panorama di Tunisi dal ponte Lounge dell’Azur: ci sono in primo piano capannoni portuali, brutti qui come dappertutto altrove, e subito al di là una folta corolla d’edifici di stazze dissonanti, uniformi tuttavia nei colori loro bianco e azzurro. Il mare, appena increspato, sembra un miraggio alla nostra destra, accarezzato da un vento forse nordico che attenua l’arsura. In giro quasi nessuno si scorge. Senso di quiete da ogni dove emanante e sopra tutto veleggiante: un benessere mistico ci permea, intriso di profumi dell’Africa.

 

12072001   Sopra una nave da crociera (il riferimento immediato è a questa esperienza che Rosanna ed io stiamo vivendo, ma ritengo pertinente l'inferenza estensiva del rilievo a tutte quelle alla nostra corrente assimilabili) l'esistenza trascorre connotata da due  macroscopiche volgarità.

La prima è costituita dall'evidente intenzione degli organizzatori dell'evento di spennare i polli entrati nell'ordine d'idee di compiere l'esperienza potenzialmente suggestiva di passare una settimana in navigazione, sottraendo loro – dopo l'esborso non lieve comportato dal prezzo di base del servizio – tutto fino all'ultimo soldo: proponendo ossessivamente cianfrusaglia grottesca e di nessun valore a costi iperbolici, gonfiando all'inverosimile la pretesa finanziaria per ogni servizio ed oggetto, persino stabilendo l'entità delle mance da erogare ai serventi, evidentemente sottopagati ed allettati dal miraggio dell'integrazione dei magri compensi mediante gli oboli presso che imposti ai croceristi. Alla lunga una siffatta vocazione alla rapina disgusta ed induce, almeno un soggetto smaliziato e tendenzialmente mal disposto come lo scrivente, ad atteggiamenti anche astiosi di contrasto duro ai continui appelli dei succhiatori di sangue.

La seconda volgarità è espressa e concretizzata dalla bruttezza fisica e dal degrado comportamentale degli imbarcati. Mai vista tanta gentaglia di infima complessiva qualità aggregata nel medesimo luogo. Vagolano per tutta la nave infestanti antropoidi tossici succhiatori di tabacco ed emettitori di fiatazzi fetidi di osceno fumo repellente, prive d'ogni sembianza di minimo decoro transitano ovunque damazze seminude esibenti difformità corporee disgustose e flaccidumi vomitevoli di carnami in putrefazione, nonché primati sconci ostentanti gambacce bitorzolute e irsute, sotto pance invereconde per dimensione e debordamenti di cicciazza. Il diapason dell'abiezione lo raggiunge un tedescazzo nazista nel grugno porcino che in occasione del buffet meridiano deambula con a malapena celato l'inguine da uno straccetto nauseabondo, ostentando con fierezza la sua mole abnorme e quintessenza di tutte le immaginabili deformazioni somatiche, fulcro della quale è un'epa abominevole per dimensione e mostruosità, ballonzolante in ogni direzione, che quando l'omazzo si sofferma al cospetto del tavolo da cui si possono prelevare frutti vari, alla lettera trabocca e si tuffa nel vassoio della macedonia.

Navigazione a costante e sostenuta velocità verso le isole Baleari. Come quasi sempre dall'esordio del viaggio, cielo azzurro con incastonato in esso un sole fulgido. Il vento marino attenua comunque l'afa, sì da rendere la temperatura estremamente gradevole. Minuziosa osservazione dell'avvicinamento progressivo all'isola di Minorca. Sciorinatura tutt'intorno di graziose casette esprimenti lindore.

Mettiamo i piedi a terra sul lungomare di Mahon. Compiamo, Rosanna ed io, una protratta ed assaporata esplorazione in lungo e in largo nella attraente e quieta cittadina. Ci fermiamo per quasi due ore a leggere e a scrivere seduti a un tavolino della Cafeteria Graja La Oca. È questo senza dubbio alcuno l'approccio ai luoghi e alle persone che mi è congeniale e mi gratifica. Esclusi dal contatto i fastidiosi intermediari, le guide turistiche, che sciaguratamente quasi sempre si intromettono, non soltanto nel contesto delle crociere.     

 

13072001  L'Azur ha calato gli ormeggi di buon'ora stamattina a Barcellona. Ritti a prua contempliamo, subito oltre il porto, il panorama vastissimo della metropoli catalana, sul quale grava un alone assai espanso di foschia. Oggi il sole non sfavilla con il gioioso fulgore dei giorni scorsi, tenta di rilucere ma appare privo di certezza nella propria forza.

Gli avvisi per gli escursionisti sono stati stavolta trasmessi con approssimazione e senza evidenza: rischiamo di rimanere a piedi, dobbiamo affannarci per raggiungere uno dei pullman in procinto di avviarsi.

Percorrendo larghi viali della città moderna gravati da un traffico automobilistico intenso ma non caotico, giungiamo abbastanza rapidamente nel quartiere medioevale, mentre la guida turistica, una donna sbrigativa nelle spiegazioni amante di aneddotica storica informa che Barcellona è denominazione derivante da Barca, cioè a dire la famiglia cartaginese alla quale appartenne Annibale.

Al cospetto della cattedrale gotica della Santa Croce. Ammirazione subitanea, per il grandioso effetto scenografico promanante dalla facciata. Tre guglie elaboratissime, in specie quella centrale, si protendono affusolate verso il cielo. Edificata nel XII secolo, la cattedrale palesa uno stato di conservazione davvero eccezionale, anche se una ripulitura dalla fuliggine posatasi sulle venerande superfici ne porrebbe in ulteriore risalto la magnificenza.

All'interno della maestosa costruzione. Risaltano le possenti colonne, nel contempo massicce e svettanti. Cappelle decorate secondo la tipica iconografia barocca di stampo iberico: il dissidio stilistico tra la struttura architettonica e gli ornamenti non potrebbe essere più acuto: la configurazione complessiva tuttavia non è disarmonica, il tempo trascorso ha ormai conciliato anche forme artistiche in sé discordanti. Mirabile il coro ligneo, uno dei più imponenti e cesellati tra quelli da me goduti in visione (la comparazione più immediata è con il coro della basilica di San Giorgio Maggiore a Venezia). Spiccano, quali cimase dello stesso, guglie intenzionalmente di forme richiamanti quelle già lodate sormontanti la facciata.

Un vero peccato la mancanza di una descrizione analitica di questo insigne manufatto (evidenzio a me stesso – e non è la prima volta – con non poco rammarico che in pratica non ho per nulla affatto preparato queste visite, non applicando così la teoria da me professata che, allorquando visito un luogo o un'opera d'arte, affinché il contatto sia culturalmente produttivo ed emotivamente stimolante, io debbo riconoscere l'oggetto della visione prendendo le mosse da un precedente approccio simbolico, non già conoscere in prima istanza l'obiettivo della mia esplorazione affisandomi in esclusiva sullo stesso). Sicché, pur tenendomi a una qualche distanza dal gruppo di cui sono al momento membro, per fruire in solitudine possibilmente assorta le opportunità date alla mia pulsione di conoscenza (ri-conoscenza), sono quasi costretto ad orecchiare le insulse stupidaggini, per lo più riversate sulla storia, che la guida butta addosso al branco.

In un angolo del chiostro (inusualmente contornato di cappelle) dentro una vasca colma d'acqua nuotano alcune oche: sono la perpetuazione della cosiddetta "Leggenda di Sant'Eulalia", la fabula della quale mi è ignota ma che evidentemente implica il protagonismo di oche.

Accanto alla cattedrale si sta girando un film d'ambientazione medioevale: comparse (mendicanti e straccioni) truccate con molto realismo gironzolano tutt'intorno, evidentemente profittando d'un momento di pausa nella realizzazione del film. Suggestiva accanto alla gran chiesa appena visitata, per quanto con ritmo frettoloso e d'ostacolo ad una fruizione circostanziata, la Plaçu del Rei.

Partecipo a Rosanna l'esito di una mia assillante constatazione: abbiamo commesso un errore colossale quando ad un costo mostruosamente alto ci siamo iscritti a questa escursione. Avremmo potuto dar corso ad una visita personalizzata, deambulante e nei tratti più estesi in taxi, di alcuni punti focali della città, conferendo all'approccio un'impronta culturalmente più significativa e risparmiando un bel gruzzolo di denaro: inveisco di nuovo contro la mia sciattezza nella preparazione della visita.

La guida ficca il gruppo dei suoi accoliti in un negozio di cianfrusaglie turistiche (con il gestore del quale evidentemente è in combutta), concede mezz'ora di libertà da consumare in acquisti e si allontana bisognosa, secondo il suo esplicito avviso, di colazione. Approfitto per reiterare dal lato opposto della strada la visione della facciata invero superba della cattedrale.

Tornati sul pullman ci immergiamo in Barcellona e l'attraversiamo: ogni tanto la guida invita a dare un'occhiata ad edifici costruiti da Gaudì e da altri architetti con l'eccentrico artista in competizione o suoi collaboratori: il pullman procede lentamente, alberi si infrappongono ed altri ostacoli: di quanto sommariamente illustrato quasi nulla effettivamente si vede.

Davvero monumentale questa città e notevole il suo impianto urbanistico: mi fa venire in mente la forma di Ferrara, da me diletta: ma il fascino raccolto della città estense è di caratura alquanto più pregevole. Rosanna è attratta da un ornamento architettonico ricorrente: graziosi terrazzini chiusi incastonati in gran quantità sulle facciate di svariati edifici, avanzo la congettura che sia questo un tratto stilistico peculiare dell'urbanistica iberica.

Il sole ha ripreso, dopo le esitazioni del mattino, piena e totale egemonia in cielo allorchè il pullman ci scarica nella intasatissima via antistante la Sagrada Familia. Contemplo, svettante verso il cielo e dallo stesso scenograficamente contornato, affascinato e perplesso, il mirabolante manufatto. Trascrizione in pietra della Bibbia. Tempio esprimente l'idea del programmaticamente non finito, dell'opera in costante costruzione, in quanto tale non soggetta all'egemonia di un progetto precostituito esclusivo. Neogotico espressionista la cifra stilistica prevalente. Esplicite tematizzazioni concettuali: la nascita, la passione e morte di Cristo.

Nei riguardi della strepitosa basilica fermenta in me più distacco critico intriso di riserve che consenso per la magnificenza dell'immagine scagliata da Gaudì e continuatori contro la visione degli astanti. Incontinente spettacolarizzazione del sacro. Riscrittura di tutti gli stili modulata senza distanza ironica, con accentuazione anzi della teatralità che è peculiare delle opere "originali" ed entusiastiche. Senza ombra di esitazione uno dei più affascinanti orrori dell'architettura del Novecento. Volendo raffigurare questa singolarissima costruzione con una metafora icastica, la si può assimilare all'universo nel momento fuori dal tempo della sua esplosione dalla matrice primordiale. Periplo dello stupefacente manufatto in "fabbrica" perenne. Trionfo dell'ecclettismo, in quanto convivenza progettata di tutti gli stili, senza incarceramento esclusivo in alcuno.

Guglie (dodici, rammemorante ciascuna un apostolo) come stalattiti. Le decorazioni (statue, ornamenti) non aggiunte successive, ciascuna con una sua propria autonomia materica e concettuale: sono invece prolungamenti dell'edificio, rigorosamente coerenti con la sua logica di germinazione e pulsione, generate dalla e nella sostanza della materia loro madre da cui promanano. Dall'albero della vita esplodono putti alati: per non essere costretti all'emissione di un giudizio perentorio di cattivo gusto dilatato all'ennesima potenza, è giocoforza ipotizzare la presenza di un processo di reinterpretazione ironica degli schemi compositivi più triviali ed obsoleti dell'iconografia religiosa. Ma neppure un'immanenza di kitsch si può sensatamente imputare a Gaudì: l'artista catalano, infatti, non ha paura neppure di esso, lo assume e fonde con tutti gli altri ingredienti della sua mirabolante fucina nel crogiuolo incandescente della sua immaginazione/allucinazione.

Altra traversata di Barcellona in pullman, con rade e fugaci occasioni di soffermare lo sguardo sopra monumenti, edifici e scenari rimarchevoli. Un'occhiata così a Plaza España, farcita di citazioni architettoniche italiane.

Salita nel parco di Montjuich e visita al cosidetto Pueblo espagnol, un agglomerato di edifici ciascuno dei quali riproduce in scala ridotta manufatti prestigiosi dell'urbanistica ispanica. Qui sì egemonia incontrastata del kitsch, dell'inautentico spasmodicamente perseguito, a edificazione di scolari e turisti. Butto attorno solamente occhiate schifate.  

 

14072001   Attracco stamattina nel porto di Marsiglia, ultimo approdo prima della conclusione del periplo del Mediterraneo occidentale. Abbiamo fin dalla fase di programmazione rinunciato alla visita guidata alla città, cancellata d’altronde perché oggi è in Francia la festa nazionale e, secondo consuetudine, le strade e le piazze di tutti gli agglomerati urbani, da Parigi al minimo villaggio, vengono invase dalla gente che folleggia, cantando e danzando, sì da impedire il transito ad automobili e torpedoni. Non mi sarebbe dispiaciuto portare Rosanna ad Avignone, città intrisa di fascino e grondante memorie storiche, da me visitata decenni addietro: ma a prescindere dal costo mostruoso dell’escursione, attraversare luoghi di corsa intruppati in un gregge, al seguito di un mentore beota che per lo più proferisce melensaggini ed è animato solo dal desiderio di concludere presto l’atto dovuto, è la maniera più esemplare per non vedere nulla.

Lo preciso – anzi ribadisco per l’ennesima ed ultima volta – qui in termini estremamente espliciti: evidentemente non ho mai confidato nel valore di questa crociera come occasione per conoscere persone, luoghi ed eventi; infatti, contrariamente a quanto impostomi finora dai miei convincimenti, non ho per nulla preparato il tour, mediante consultazione di carte e ricorso ad acconce, analitiche descrizioni, sì che mi sono aggirato nei posti toccati per così dire al buio, ovvero sia senza possederne una consapevolezza virtuale pregressa. La colpevole omissione così ha azzerato la teoria che da sempre professo, secondo la quale io non conosco il reale contattandolo direttamente ma lo riconosco comparandolo con l’informazione su di esso in precedenza acquisita nella sfera del simbolico. Non avendo, nella corrente circostanza, operato in modo da consentire alla teoria di funzionare, è in pratica avvenuto che nulla ho effettivamente conosciuto.

Il caso di Marsiglia è in proposito esemplare: avevo esplicitato a Rosanna mia che avremmo potuto visitare la città egregiamente per conto nostro; io so abbastanza bene il francese e in una città, se appunto sono in grado di avvalermi di carta topografica della stessa, m’oriento senza fallo in un batter d’occhio. Ma stavolta Marsiglia è per me un buco nero, m’avvedo osservando che il porto è notevolmente distante dal centro, ignoro quali edifici o luoghi od espressioni peculiari meritino di venire accostati, scesi dalla nave neppure la direzione da imboccare mi sarebbe nota. Sicché, piuttosto contrariato per la preparazione assolutamente deficitaria dell’itinerario da percorrere, addirittura rinunciamo a mettere il piede sul suolo francese e trascorriamo l’intera giornata a bordo, immersi entrambi in letture, meditazioni e conversari tra di noi saporosamente intrecciati, sollevati anche pel fatto che sulla Azur quest’oggi siamo rimasti fortunatamente in pochi, perché gli spagnoli e i francesi sono ormai definitivamente sbarcati e dei residui croceristi una folta masnada è impegnata nell’escursione ad Avignone.

 

15072001   Fine della crociera stamattina. Arrivo a Genova, luminosa contemplata dal mare sotto un caldo sole, lo stesso che ha irrorato di sé l’intera nostra settimana di vagabondaggio nel Mediterraneo occidentale. Abbastanza laboriose le pratiche e le procedure per potere sbarcare infine dalla nave Azur. Appena fuori dalla stazione marittima immediata corsa in taxi verso la stazione, per fuggire subito – è l’espresso e perentorio desiderio di Rosanna – dalla città che s’accinge, in un’atmosfera avvertibile gravida di preoccupazione e timori, ad ospitare il summit dei capi degli otto stati egemoni della Terra, contro la qual riunione l’internazionale dei protestatari avverso la globalizzazione e dei delinquenti d’ogni genia ad essi mescolati ha promesso manifestazioni oppositive durissime e clamorose.

Né Rosanna né io proviamo particolare rimpianto per la conclusione dell’avventura marinara: ci è piaciuta molto meno della precedente, per i motivi disseminati nelle annotazioni dei giorni scorsi. Non escludo di reiterare prima o poi l’esperienza: su altra nave, lungo rotte più accattivanti e soprattutto in compagnia di gente meno volgare, buzzurra e sbracata di quella con cui abbiamo avuto la mala sorte di dover convivere sopra la medesima imbarcazione.

Lunga sosta alla stazione di Genova, in attesa del treno per Bologna. Sporcizia e squallore: non era stato tutto tirato a lucido per accogliere degnamente i potenti della Terra? Merda umana abbastanza recente sui binari a mezzo metro dalla piattaforma dove sostano i passeggeri in attesa del treno. Arriva e riparte pieno zeppo, fino a Voghera: sgradevolissimo viaggio in piedi. Finalmente a casa, a metà pomeriggio, incolumi.