L’IRA DELLA CITTÀ

Luciano Lelli

Molti pronosticavano che prima o poi qualcosa di grave, o quanto meno di clamoroso, sarebbe successo. In città infatti si erano già verificati diversi episodi premonitori: due folti gruppi di giovani avevano consumato abbondanti e raffinati pranzi innaffiati con i migliori vini in due ristoranti tra i più costosi e al momento di saldare, ignorando l'astronomico conto loro presentato, avevano sborsato cinquecento lire a testa. Alcuni gestori di cinema di prima visione avevano dovuto sopportare, per evitare guai peggiori, che manipoli di autoriduttori entrassero in sala pagando cifre simboliche; sui muri della zona universitaria erano comparsi grandi scritte rosse e volantini annuncianti che assai presto la città si sarebbe svegliata dal suo sopore piccolo borghese, che essa sarebbe stata presa dalle vere forze rivoluzionarie marxiste e leniniste.
L’azione di guerriglia urbana (la provocazione anarco-fascista e teppistica come la definirono pressoché unanimi i quotidiani del giorno appresso) si svolse l’antivigilia di Natale, dalle quindici a sera. Evidentemente realizzando una strategia studiata con una certa cura anche nei dettagli, al momento della riapertura pomeridiana, anticipata per il gran rito consumistico, dei grandi magazzini, in diversi punti della città, mescolati alle folle degli acquirenti, entrarono nei negozi i contestatori e riempirono i carrelli di liquori pregiati, formaggi, prosciutti e carne di prima scelta. Aspettarono pazientemente in fila che arrivasse il loro turno alla cassa e al momento di corrispondere in moneta il valore delle merci, quasi all’unisono gridarono sprezzanti che il loro era un esproprio proletario e che neanche un soldo avrebbero dato agli sporchi profittatori del sistema capitalistico. Poi i compratori, allibiti, furono invitati a non pagare, a prendere svelti la roba e a filarsela. Alcuni, i più pavidi, abbandonarono immediatamente i carrelli ricolmi dei generi alimentari scelti e si eclissarono a mani vuote; non pochi colsero al volo quell'occasione e si allontanarono in fretta, carichi di merce non pagata. Nel grande magazzino OMNIA di via dei Mille, dove il fatto si era svolto all’incirca come qui sopra descritto, alcuni acquirenti non vollero accettare l’invito-imposizione degli autoriduttori e pretesero di dare il denaro dovuto, forse non tanto perché pungolati dall'imperativo categorico dell'onestà quanto perché a certa gente non va giù di dover sottostare a una costrizione anche se essa arreca di fatto un vantaggio materiale. Volarono allora parole grosse e minacce, quando parve che contro i disturbatori parecchi, forti del numero, intendessero passare a vie di fatto con le mani, gli eversori esibirono coltelli e pistole, sollevarono grida di spavento e d'esecrazione, vivamente impressionati piangevano alcuni bambini, i provocatori, prima di dileguarsi coi carichi sgraffignati, buttarono per aria vandalicamente un po’ di roba, fustini di detersivo, pezzi di sapone, bottigliette di succhi di frutta e altro, tutto ciò che si trovarono sottomano nei paraggi.
Disorientata dalla simultaneità degli attacchi contro molteplici obiettivi, la polizia non fu per niente tempestiva negli interventi, quando arrivò dappertutto gli autoriduttori avevano avuto tutto l'agio di sparire lontano, furono fermati e condotti in questura soltanto tre tizi, non perché colti con le mani nel sacco ma a causa dei sospetti suscitati dalle loro facce, dalle acconciature e dall'abbigliamento.

Ma quello era solo il prologo, la prova generale dell'azione rivoluzionaria che gli arrabbiati scatenarono verso sera contro la città. Il buio stava scendendo, là respinto dallo sfarzo delle luci policrome emananti dalle vetrine, quando, sbucando dall'oscurità di una angusta strada laterale, una folta squadra di guerriglieri irruppe in via Indipendenza.
Tutti con le teste imbacuccate nei passamontagna, brandivano randelli e spranghe di ferro, urlando slogan e minacce si frazionarono in due drappelli, correndo a tutta velocità sotto il portico di sinistra spintonarono con ricercata violenza i passanti attoniti, si sparpagliarono, con una precisione che evidentemente era stata con cura vagliata, dal cinema Arena del Sole all'incrocio con via Ugo Bassi, nelle immediate adiacenze di Piazza Maggiore.
Intanto, amplificata dal megafono, una voce ostile percuoteva la gente indugiante in conversari e per compere sotto i portici, nei negozi:
"Borghesi soddisfatti e consumisti, padroni delle botteghe di lusso che offendono la miseria del proletariato, figli di puttana tutti che avete inventato la crisi per succhiare ancora più sangue dagli sfruttati tremate! Da questo momento in avanti non avrete tregua: vi attaccheremo, vi colpiremo duramente dappertutto, ci siamo svegliati definitivamente e useremo contro la vostra prepotenza di sempre una invincibile e implacabile violenza rivoluzionaria!"
E mentre la gragnuola dei ciottoli, grossi, selezionati con scrupolosa diligenza faceva impeto contro le spesse lastre di cristallo delle vetrine e a una a una le infrangeva in un rovinio squillante di frammenti sparpagliati tutt'intorno, la folla dei passanti, dopo un lasso breve di immobile stupore presa da un panico totale, si mise a correre all'impazzata urlando il proprio terrore, e nella frenesia della fuga chi cadde venne calpestato, frastornati in quella mischia alcuni si interposero tra le vetrine e lo schieramento dei frombolieri, si presero addosso raffiche di sassate, tre colpiti trascorsero più giorni in ospedale, per le gravi ferite riportate.
L'aggressione, se pure parve interminabile a quanti vi assistettero o la subirono, durò in effetti soltanto pochi minuti: rapidi e silenziosi come erano arrivati i guerriglieri, buttati fuori dagli zaini gli ultimi proiettili inutilizzati, a un fischio di richiamo di corsa s'imbrancarono, scomparvero in un amen nell'oscurità della viuzza che li aveva, minuti prima, vomitati.

Ma l'attacco di quel giorno alla città ebbe una coda ancora, il gesto poi giudicato il più stupido e provocatorio tra tutti: una banda di autoriduttori, sedutasi all'improvviso in mezzo alla strada, bloccò un autobus stracolmo di passeggeri e dietro di esso tutto il flusso del traffico; poiché ad un certo punto l'autista, dopo avere tentato invano con ripetuti colpi di clacson di smuovere quell'ostacolo, fintò l'investimento, inviperiti i manigoldi gli scagliarono addosso manciate di ciottoli e biglie di ferro, il disgraziato fu investito proprio in faccia dalla pioggia di schegge del parabrezza andato in mille pezzi, l'ebbe in un batter d’occhio deturpata da una impressionante maschera di sangue, muggendo dal dolore come un manzo al mattatoio eruppe fuori dall'autobus, inchiodatosi quasi di traverso nella via, dopo aver sussultato e sbandato. Con il volto raccolto nel cavo delle mani arrossate e sempre lamentandosi a tutta voce si diresse verso il branco dei delinquenti, per il luccichio ferino degli occhi e la rabbia che esprimevano, parve per un istante intenzionato a farne sfracelli, ma cambiò risoluzione di colpo, concentrandosi solo sulla sua disgrazia si allontanò da quel luogo a casaccio, piangeva adesso sommesso sommesso.
Senza stare tanto a discutere gli autotramvieri decisero di dare una risposta immediata all'aggressione patita dal collega: nel giro di un quarto d'ora scesero compatti in sciopero, presto il centro della città brulicò di vetture colà concentrate e fermate.

Piazza Maggiore e gli immediati dintorni s'animarono oltre misura di capannelli eccitati, era dappertutto un ribollio di sdegni, di invettive, di progetti politici, di critiche al governo, di ricette utopistiche per una definitiva palingenesi sociale.
"Queste cose vi dico io che non capitano in Germania. Ci vuole un governo che abbia il coraggio di dire pane al pane e vino al vino e di tirar fuori il bastone e usarlo, addosso a questi matti che, sicuri di farla sempre franca, diventano di giorno in giorno più strafottenti."
"I comunisti? Ma mi faccia il piacere! E' chiaro come il sole che sono d'accordo, spingono avanti questi esaltati come forza d'urto, quando in Italia sarà tutto sottosopra, entrerà in scena sul serio Berlinguer, si mangerà in un amen intere intere le sue gran promesse di democrazia, partecipazione dal basso e libertà, in quattro e quattr'otto scompariranno i contestatori, i radicali, gli scioperi, i sequestri di persona e compagnia bella, tornerà l'ordine, e la quiete, sicuro, la gente magari 1ì per 1ì respirerà sollevata, ma ce ne accorgeremo presto presto di come è duro e pesante il bastone comunista, sarà allora preciso uguale a quando c'era Benito, anzi peggio, perché Mussolini sognava un'Italia potente, temuta e padrona, mentre quelli 1ì non vedono l'ora di consegnarla mani e piedi legata a Mosca!"
"Bisogna capirli, perché portano avanti, anche se con sistemi discutibili, una seria lotta politica? Fregnacce bestiali, ecco, sono proprio queste indulgenze a dare spago alla smania di manigoldi con le teste piene di scarafaggi, io dico che se non si risponde immediatamente col muso duro, senza tante svenevolezze e riguardi, domani quelli 1ì ci tireranno fuori il portafogli di tasca alla luce del sole, mollandoci un calcio nel culo per ringraziamento!"
"Ohi ben, ero sull'autobus che quei figli di puttana hanno assaltato, stavo seduto proprio dietro le spalle del conducente, per fortuna che i frammenti di vetro sono stati parati dalla lastra di cristallo che divide l'autista dai passeggeri, altrimenti m'arrivavano dritti in faccia anche a me e me la rovinavano come a quel disgraziato. Sparavano con le fionde biglie di ferro grosse come uova di piccione, è un vero miracolo se non hanno procurato un buco nel cranio a qualcuno, io sono stato nei partigiani e vi giuro che una cattiveria così senza senso non l'ho mai vista addosso a nessuno, nemmeno ai più feroci tedeschi. Quando mi sono accorto di quanto stava accadendo, m'è venuto un morbino che son corso giù dall'autobus, il primo che mi fosse capitato tra le mani l'avrei strangolato senz'altro, ma loro sono furbi e vigliacchi, hanno capito subito che c'era da prendere un sacco di botte, avevano già tutti quanti tagliato la laccia".
"E io vi dico che sono fascisti sputati, anche se con la vernice rossa sui muri scrivono di trovarsi all'altro capo del mondo rispetto ai fascisti. Non mi meraviglierei poi se fossero fascisti fino al midollo, con in tasca la tessera del partitaccio di Almirante, camuffati da rossi accesi per fare casino, a bella posta, secondo gli ordini ricevuti dai mandanti della strategia della tensione, che vogliono far salire con queste manovre ai massimi livelli l'incazzatura della gente qualunque contro i marxisti-leninisti e tutta la sinistra, per ottenerne poi l'appoggio quando decideranno di spostare a destra l'asse politico del paese. Se vogliamo evitare tale pericolo, dunque, dobbiamo isolare i provocatori..."
"Bene, allora sappiate che è troppo facile, e comodo, buttare la colpa solo addosso a questi ragazzi, sbandati senz'altro, con in testa un sacco di idee balzane, da condannare indubbiamente per gesti insensati come quelli di oggi, ma poi andiamoci piano, costoro sembrano dei lazzaroni a prima vista ma in realtà sono le maggiori vittime della grave crisi dalla quale l'Italia non trova la maniera d’uscire fuori. E dunque il dito accusatore puntiamolo, invece che contro di loro, in direzione del governo, ha lasciato che le cose andassero così a catafascio, non è mai stato capace di adottare provvedimenti efficaci, in grado di raddrizzare una volta per tutte la baracca, s'è solo preoccupato di difendere gli interessi dei padroni, i quali, checché se ne dica, della crisi se ne fregheranno sempre"!
"Davvero, a me sembra assolutamente semplicistico asserire che rei di tanto disordine non sono già i singoli, bensì la società. Perché, filosoficamente parlando, la società è un'astrazione, di cui è assai arduo stabilire la conformazione generale, i criteri morali informatori, le idealità, la dialettica interna che ne mette a confronto i settori costitutivi, li amalgama o ne fa risaltare l'antitesi. E, parlando invece concretamente in soldoni, la società è la somma, non la fusione, di tutti, quindi ingloba anche gli scavezzacolli che la nostra indulgenza inclinerebbe, con una ingenuità teoretica da far sorridere, a classificare come innocenti vittime della ferocia sociale. E quelli di sicuro rigetterebbero l'accusa d’essere gli aguzzini di se stessi, così come anch'io allontano da me ogni sorta di compromissione nella presunta ingiustizia perpetrata nei riguardi di costoro, e son convinto di non differire dall'intimo convincimento di quanti stasera affollano indignati questa piazza. La responsabilità morale infatti va sempre ascritta, in ultima istanza, ai singoli individui, nessun soggetto umano se ne può dichiarare esente, neppure colui che è obbiettivamente bersaglio di circostanze avverse o della indífferenziata malignità sociale, il quale non può dunque inferire dall'altrui efferatezza l'avvallo etico per i propri comportamenti vulnerativi delle norme di convivenza. Questo vecchio che conciona, o signori pazienti nell'ascoltarmi, ha insegnato per più di quarant'anni ai giovani cultura filosofica e storica. Or non è molto, ancora gratificato da bei conversari e profondi con i miei liceali, ragazzi impetuosi e avidi di novità ma ricettivi, rispettosi, profondamente convinti della necessità di innervare ogni rivoluzione culturale e politica su una seria conoscenza del passato e del pensiero elaborato finora per il giovamento di tutti dagli uomini migliori, paventavo come una iattura grande il momento in cui sarei stato costretto dall'età ad uscire per sempre dalla cara scuola. Ma venuta l'ora del commiato, il tempo di scendere nella solitudine del riposo senile che è preludio al riposo perenne, ebbene non ho provato il temuto sentimento di desolazione, di rimpianto. Perché ormai, i posti che già furono di indimenticati allievi, umili nell'affrontare gli ardui sentieri del sapere, erano occupati con protervia da giovani ostili contro tutto e contro tutti, sospettosi gli uni verso gli altri, divisi dalle mostruose e schematiche barriere delle ideologie, decisi a far trionfare le proprie tesi non con le nobili armi della dialettica, della filosofica argomentazione ma col pugno, l'oltraggio, la percossa, l'ostracismo. Giovani stralunati e beffardi, per i quali la vera cultura è sterco, la meditazione un delitto, il rispetto dei saggi un'anticaglia colpevole, intrisi fino al midollo dal gusto dell’azione avventata, protestataria, distruttrice che, proprio per la sua natura abnorme, non lascia un minimo spazio al ripensamento, al dubbio, all'ipotesi dell'errore. La violenza che tali giovani perpetrano verso se stessi, turbando e stravolgendo l’armonica evoluzione delle proprie personalità, ribaltando millenari equilibri tra le generazioni, comporta rischi gravissimi, attenta con l'ordigno micidiale del disordine alla fisiologia del contratto sociale. Il sommo Platone, quasi due millenni e mezzo fa, nella luminosa Repubblica, opera sovrana di sapienza politica irrisa sintomaticamente dagli impudenti dei quali dobbiamo oggi lamentarci, con parole immortali nel libro ottavo ha ammonito gli uomini e i popoli di tutti i tempi, l'eccesso di libertà genera l'anarchia, e questa è madre della tirannide: ‘dalla somma libertà viene la schiavitù maggiore e più feroce’ ".
"Pensi ognuno come vuole, ma questo è veramente un gran casino, e bisogna subito metterci una pezza robusta, altrimenti in un amen la merda ci arriva ai capelli. Come? E’ difficile così su due piedi trovare un rimedio che scopi via tutto il marcio sociale, io però la mia idea l'ho in testa chiara da un bel pezzo. E’ solo questione di democrazia, buon senso e forza. Quelli che noi abbiamo mandato a Roma coi voti domandino al popolo in ogni maniera se godono ancora la nostra fiducia. L'ottengono? Allora sotto a lavorare senza perdere un secondo di tempo, leggi brevi, chiare e severe; una cosa è lecita? Si fa. Ma perdio, stanga e galera a quelli che sgarrano, senza tante lungagne di processi. Un pubblico amministratore è corrotto, non fa il suo dovere, ruba i soldi del popolo? Calci in culo in piazza e fuori dai piedi a tasche vuote in un batter d'occhio. I giovani vogliono lavorare? Porte aperte a loro e gli si dice v’occupiamo in agricoltura, la ripresa del paese comincia da lì. Si lamenterebbero perché pigliano troppo poco? Paghe uguali per tutti, dal capo dello stato ai pulitori di cesso, così la piantiamo d'invidiare chi arraffa più grana. I giovani vogliono studiare? Benissimo, da sedici anni in su, si studia e si lavora, almeno un poco, con le mani, per mantenersi: infatti è mai giusto che io e voi dobbiamo pagare fior di tasse perché perdano tempo a scuola certe teste di cazzo che ci vanno per baccagliare di politica, fare asinate come quelle di stasera, rompere le scatole e danneggiare quanti han buona voglia e intenzione di profittare bene della scuola? Ecco allora, qui salta fuori l'autorità dello stato: ‘Giovanotto tu hai il cervello pieno di sgadizza e ti vien l'emicrania ogni volta che butti l'occhio su due righe scritte in un libro. E io non spreco più un centesimo perché tu continui a non istruirti: il pane te lo puoi buscare così o così; tutte le volte che non righi dritto, t'arrosso le chiappe a furia di cinghiate’. Ve l'assicuro, ci scommetto la camicia, se si fa come raccomando io le cose s'aggiustano in tre mesi!"
"Vi prevengo, è inutile che continuiate a soffiarmi nelle orecchie che i miei sono discorsi da prete, non mi offendo neanche, io sono un prete. E ribadisco che alla base di tutti questi atteggiamenti sono evidenti il disordine morale, la mancanza di generosità, gli egoismi individuali e di gruppo. Vedete: oggi tutti pretendiamo dagli altri. Noi abbiamo sempre ragione, non ci sfiora il minimo dubbio, la nostra idea delle cose è giusta, luminosa, noi siamo moderni, democratici, al passo con la storia. Gli altri? Quelli che occupano posti di responsabilità e dovrebbero dirigere la comunità? Ma è evidente, sono ladri, incapaci, corrotti, ignoranti, autoritari e retrogradi. Bisogna urlare e battere i piedi, minacciare e scegliere la violenza come strumento di pressione, per strappare al bieco nemico quanto a noi, semidei della giustizia e della verità, spetta per diritto naturale e culturale. Ed è tragico che una simile mentalità manichea si diffonda, alligni sempre più tra i giovani. Perché se tutti, dico tutti, vogliamo prendere e prendere, e nessuno è disposto a dare, succederà inevitabilmente che nessuno avrà nulla e allora precipiteremo in un pauroso abisso di diffidenze e di sospetti istituzionalizzati, dove ciascuno cercherà di arraffare roba o potere disposto poi a qualunque delitto per tenersi a galla. C’è un solo antidoto a tanta degradazione: chiedere a Cristo di ritornare tra gli uomini".

Mentre in Piazza Maggiore fervevano l’indignazione e i conversari di cui s'è fornito qui sopra un piccolo saggio, ridendo rumorosamente due ragazzi camminavano sotto i portici di via Rizzoli, diretti appunto in piazza.
Vestiti secondo la moda anticonformistica, con abiti di foggia vagamente militaresca, sudici e puzzolenti, entrambi con le chiome rossicce fluenti scarduffate sulle spalle, parevano impegnati a sfottere il mondo intero: uno, alto, magro e pallido, teneva in bocca un voluminoso succhiotto azzurro e lo ciucciava come un poppante maniaco ogni tanto sputandolo; l'altro, bassotto e grasso, dalla faccia scura, beveva un liquido rossastro tettando da un enorme biberon.
Avevano forse in animo d’andare a sedersi sulla gradinata di San Petronio, dove, in barba alle condizioni meteorologiche non propizie, svernano a Bologna i capelloni senza fissa dimora: ma notarono l'affollamento e l'agitazione, si intrufolarono con viva curiosità in un crocchio, non omettendo pertanto di ciucciare e di poppare.
Quell'
applicazione, diciamo così, infantile calamitò su di loro l’attenzione dei circostanti accalorati nella disamina degli eventi del giorno.
"Si può sapere chi intendete prendere per il culo voi due?", chiese seccato il cittadino il cui intervento dialettico era stato turbato dall'esibizionismo dei nuovi arrivati.
"Tutti gli stronzi che, quando vedono qualcosa di diverso dal solito, invece di badare ai cazzi propri, si sentono montare la mosca al naso", rispose provocatorio e tranquillo il bassotto, l’alito del quale puzzava di vino.
"Vuoi scommettere che, se ti stampo un cazzotto nel nome del padre, perdi subito la voglia di fare lo stupido e in fretta e furia chiudi la lingua tra i denti?", ribatté assai minaccioso l'oratore interrotto.
"Suvvia, signor borghese", s'intromise con tono sarcastico il secondo capellone (infilatasi l'anella del ciuccio in un dito lo ruotava sfottente), "non si scaldi e ringrazi dio che finora a lei non è successo niente. Ha visto come colpiscono duro i nuovi proletari? Dunque, è meglio che lei torni a rimpiattarsi nella sua merda, se continua a rompere così i coglioni domani gliela faremo pagare molto cara!".
Toccando quel tasto, lo sciagurato non si rendeva conto del vespaio in cui si cacciava: un coro unanime d'invettive e di minacce espresse l'indignazione della gente, mentre il cittadino coram populo sbeffeggiato e diffidato si slanciava contro il provocatore e gli rifilava uno schiaffone impetuoso sul grugno barbuto. Intervenne a soccorso del compagno il capellone bassotto con una scarica convulsa di calci che si piantarono per lo più tra le natiche sorprese dell'aggressore.
Allora, in un batter d'occhio, il contrasto individuale si trasformò in un pauroso pigia pigia, cento infuriati si serrarono addosso ai due incauti malcapitati, volarono pugni a bizzeffe, in un amen il sentore dello scontro si propagò a tutta la piazza, l'evento subì repentine e fulminee distorsioni, telegrafato da crocchio a crocchio.
"Una squadraccia è arrivata di corsa e s'è messa a manganellare, adesso i nostri rispondono duro però".
"Son due che discutevano, si sono accesi e si menano".
"Dei poliziotti in borghese hanno riconosciuto un teppista, gli sono saltati addosso, ma quello scalcia e si scalmana".
"Ma no, non sta succedendo niente, sono solo tizi che per avere ragione gridano più forte degli altri".
"Piazza Maggiore stasera è piena zeppa di agit prop addestrati apposta per seminare casino: noi perdiamo la testa e qui si scatena un quarantotto; quello che loro cercano".
Quasi subito l'impressione di un grave disordine si trasmise fino a un drappello di vigili, stazionanti sotto il voltone di palazzo d'Accursio: senza indugio si buttarono tra la folla, urlando e sgomitando s'aprirono un varco fino all'epicentro del sommovimento; inquadrata con lodevole prontezza la situazione, strapparono dalle mani dei percotitori i due bricconcelli carnascialeschi che, grazie al tempestivo intervento, riportarono a casa le ossa intere: dimolto peste però.