UOMINI E IL SANGUE

Il segretario della Camera del Lavoro fu avvisato per telefono ai primi d'agosto e in un baleno la notizia si propagò in tutto il paese. Verso le tre pomeridiane in Piazza della Libertà, sotto un sole che batteva cocentissimo, il concorso dei braccianti era già imponente e tumultuoso: uomini e donne a frotte avevano interrotto il lavoro nelle campagne circostanti e senza accordi di sorta, come seguendo all'unisono un richiamo imperioso, si ammassavano in piazza a manifestare rabbia e disperazione.
Stavo giocando a biglie nel cortile di un amico quando m'arrivarono frammentarie e vaghe informazioni. Smisi allora e mi avviai anch'io correndo verso la piazza. Qui, malgrado la gran ressa, riuscii a scorgere tra la folla mio padre e mia madre e mi unii a loro che stavano protestando assieme ai compagni.
Era accaduto che i lavoratori della terra di Medicina aderenti al partito socialdemocratico (spregiativamente soprannominati i "gat" per storpiatura del nome di Saragat, leader di quella fazione politica), con chissà mai quali maneggi di sottogoverno, avevano ricevuto in assegnazione La Valletta, una delle più estese tenute agricole del comune, per proprio uso e consumo. Ciò significava che da quel momento in avanti soltanto i braccianti iscritti alla socialdemocrazia avrebbero lavorato quella terra e senza paga non sarebbero rimasti mai un giorno e che di conseguenza la gran massa dei rurali comunisti e socialisti avrebbe visto in futuro ulteriormente ridotta la già insufficiente quantità di giornate d'assunzione per il lavoro sulla terra. Composi a fatica il quadro della situazione strappando brandelli d'informazione ai dialoghi che s'andavano, concitatissimi e furiosi, dappertutto intrecciando e ai cartelli di protesta in fretta e furia vergati e subito issati. Quella manovra maligna inoltre risultava esasperante in grado intollerabile essendo l'ultimo anello di una lunga catena di provvedimenti miranti a strappare terra e terra ai braccianti di sinistra, con il preciso obiettivo di ridurli alla fame, m'investiva questa convinzione gridata da più bocche, e l'intenzione di disgregare con quella violenza la compattezza politica e sindacale della classe lavoratrice, distruggendone così la fede e l'attaccamento ai partiti rossi.

- Ci vogliono far morire quei porci, togliendoci anche il pane, ma io dico che è ora di finirla, se caliamo le braghe pure stavolta d'ora in avanti ogni lurido fascista si sentirà autorizzato a mettercelo nel culo senza neanche guardarci in faccia!
- Sì, sì, è giunto il momento di usare la forza della disperazione, dobbiamo difendere quella nostra terra con le unghie e coi denti!
- D'accordo compagni, organizziamo fin da adesso la nostra protesta,, insceniamo a La Valletta domani una grandiosa manifestazione, andiamoci tutti, ci sederemo sulla terra e vedremo se i "gat" merdosi avranno il coraggio di spostarci e buttarci via per zappare!
- Ma non sono d'accordo, è un reato questo che tu proponi, noi dobbiamo invece mantenerci nell'ambito rigoroso della legge, per stare sempre dalla parte della ragione e poter così contare sull'appoggio dell'opinione pubblica più sensibile. Inoltre...
- Zitto tu, cane d'un democristiano, smettila di dire cazzate, non c'entri e trovi sempre il modo d'intrufolarti tra noi, se non sparisci in un amen ti do una ciabattata in testa che vedi!
- E piantala di strofinarti così alle tette mie! A te non frega un accidente di niente se rimaniamo senza terra da lavorare, cerchi solo la maniera di cascarmi addosso!
- Ma sei matta a starnazzare così, chi ti tocca per la madonna, spingono tutti in questo buridone, nemmeno m'ero accorta che c'eri!

Boccheggiavo per l'afa e la ressa, pur fanciullescamente orgoglioso di partecipare in prima fila a quella massiccia protesta; con riluttanza obbedii a mio padre quando m'impose d'uscir fuori dal pigiapigia e di rifugiarmi all'ombra del campanile, nel fondo della piazza.
Là sostava e vigilava al completo il drappello dei carabinieri di Medicina, mi parve che le facce loro fossero al contempo minacciose, preoccupate ed impaurite, confermò l'esattezza della mia intuizione il tratto cortese e quasi cerimonioso con cui il maresciallo, spintosi fuori nel sole fin nei pressi della frangia più esterna dei dimostranti, interpellò quella gente e chiese in giro se volevano spostarsi un pochino, perché lì ostacolavano il traffico, per altro quasi inesistente, ed anzi lo impedivano del tutto. Immersa nel vortice di battute e proteste, urla ed insulti, la folla non lo notò nemmeno, i braccianti più prossimi lo ignorarono volutamente, soltanto alcuni si astrassero per un momento dal tumulto e lo squadrarono stupefatti e severi dalla testa ai piedi, così come si scruta un tizio che viene a disturbare con futilità e facezie la tragicità di un funerale. Al maresciallo non parve opportuno insistere, rinculò subito quasi sorridendo, tornò accanto a me nell'ombra del campanile.

Intanto i dimostranti si contraevano per conto loro, attratti tutti verso uno stesso punto della piazza, e l'urlio andava man mano sedandosi; qualcuno s'era issato sopra le teste della gente, in piedi forse su un tavolo, e parlava dentro a un megafono:
- Ho ascoltato, compagni, le vostre sacrosante proteste, condivido in pieno il vostro furore e ritengo anch'io che occorra dare a questa ennesima intollerabile provocazione una risposta pronta e durissima. Non posso però così su due piedi sostenere la proposta di quanti vorrebbero correre in massa domani mattina a La Valletta, a fare a botte con i saragattiani, a sbatterli fuori con la forza dalla tenuta. Non possiamo infatti permetterci il lusso di cadere in errori, ogni mossa va studiata con il massimo rigore. Quando sarà sbollita la nostra rabbia, a mente fredda discuteremo e decideremo e state pur sicuri che se sarà necessario non indietreggeremo neppure di fronte alle scelte più gravi! Sappiate intanto che ci è già arrivata la solidarietà di tutte le categorie dei lavoratori democratici e che la federazione provinciale del sindacato è decisa a portare avanti questa nostra questione fino ai massimi livelli. Intanto, come momento immediato di lotta, abbiamo già proclamato per domani lo sciopero di tutti i lavoratori dei comune.
Il discorso del segretario della camera dei lavoro non parve convincere fino in fondo i braccianti. Radi e fiacchi applausi ne salutarono la conclusione, un paio di volte era stato interrotto da grida di dissenso, volò anche qualche fischio. Non si discostava esso infatti da altri analoghi pronunciati dopo le precedenti prepotenze subite, richiamanti alla prudenza ed alla ragionevolezza: con i bei risultati che stavano sotto gli occhi di tutti. Comunque la gente, anche prosciugata da quel sole, aveva ormai esaurito per quel giorno l'entusiasmo impulsivo della lotta e la carica di disperazione: la ressa si dissolse quasi subito e io me ne tornai a casa in bicicletta commentando eccitato l'accaduto con mia madre.
Molte cose poi maturarono durante le ore serali: era ormai buio pesto ed io non mi decidevo a mettermi a letto, perché mio padre tardava a tornare dal paese; venne finalmente, quando io avevo appena ceduto alla stanchezza e subito ci disse che i dirigenti del sindacato avevano mutato opinione: di fronte a una così maligna strategia messa in atto per fiaccare la forza politica dei braccianti socialcomunisti, lo sciopero tradizionale appariva una risposta inadeguata e l'indomani a La Valletta ci sarebbe stata l'occupazione della terra.

Isolata in mezzo alla campagna la mia casa sorgeva a qualche centinaio di metri dal confine della tenuta contesa. Eccitato, intento a favoleggiare su quanto sarebbe successo l'indomani, quasi non dormii quella notte e a lungo dal letto mi sforzai d'afferrare i discorsi che si protrassero fino a notte fonda dabbasso, tra i miei familiari e uno stuolo di vicini convenuti.
Rosso e smisurato il sole stava ancor bassissimo sull'orizzonte e già io ero fuori di casa in attesa, seduto nello sfavillio dell'alba sull'erba che cresceva rigogliosa ai piedi dei muro pescavo in una gran tazza cucchiaiate di pane intriso di caffelatte.
Di lì a poco, alla svolta più lontana della cavedagna, comparve l'avanguardia dei dimostranti: io trasalii fremente, avvisai mio padre, mia madre e gli altri del caseggiato che tutti pronti aspettavano il passaggio dei compagni di lotta per unirsi a loro. E ancora la mamma m'ammonì, non mi passasse neppure per la testa l'idea di andare a La Valletta, stessi alla larga, anche dovevo badare alle anatre, portare la broda al maiale, non scordarmi di dar l'erba ai conigli; nella madia aveva messo un piatto di minestra da scaldare, pane, salame e una pesca, nel caso non avesse potuto tornare a casa per mezzogiorno.
La fila dei braccianti si snodava ormai davanti ai miei occhi da un pezzo e dalla curva continuavano a sbucare biciclette e biciclette. Tacevano tutti e, oltre a vari cigolii qua e là ogni tanto, l'unico rumore costante era il fruscio delle gomme nella polvere.
Portavano la sporta con il pane, il sale e la carne infilata al manubrio, soltanto la mancanza degli attrezzi agricoli lasciava intendere che quella sarebbe stata una giornata inconsueta. Al termine del lungo giro quasi circolare già i primi della fila si fermavano, smontavano di bicicletta e posavano i piedi sulla terra contesa, quando davanti a casa mia il flusso dei lavoratori in lotta si diradò, s'interruppe infine di lì a poco del tutto. Allora m'affrettai ad eseguire le mansioni che m'erano state assegnate, ero ormai libero d'avviarmi attraverso il campo arato fino al torrente che spartiva La Valletta dalla tenuta di Baratieri, sull'argine del quale, acquattato tra i giunchi e gli sterpi, avevo durante la notte escogitato d'appostarmi, per seguire così in prima fila i fatti di quella giornata; ma mi trattenne ancora un poco nel cortile la comparsa improvvisa di una automobile in avvicinamento, dentro un nuvolone di polvere: venivano, secondo la promessa, i dirigenti periferici e centrali del sindacato a guidare di persona l'occupazione.
Per quanto fosse in realtà una visione familiare, m'impressionò l'enorme ammasso delle biciclette, all'inverosimile stipate sulla sponda proibita del torrente e sul ponte e mi domandavo come poi sarebbero riusciti a riconoscerle e districarle; riuniti attorno a un capo che parlava i dimostranti stavano quasi tutti seduti sulla terra e io capii che veniva loro spiegata la strategia della lotta; in disparte, appoggiati agli attrezzi da lavoro, braccianti socialdemocratici in folto stuolo osservavano la scena e non osavano intraprendere l'estirpazione delle barbabietole, per effettuare la quale erano lì convenuti; quando con il megafono furono esplicitamente invitati a non lavorare quel giorno, a scioperare, a unirsi anzi alla manifestazione dei compagni privati del pane da quell'intollerabile provvedimento e a testimoniare così la solidarietà umana e politica che dovrebbe sempre legare tra loro tutti i membri della classe lavoratrice, non espressero né consenso né dissenso, rimasero muti in disparte a guardare, mi parvero assai timorosi.
Forse non c'era bisogno di un particolare dispiegamento di forze per costringere quei saragattiani a tenere le braccia incrociate: ad ogni modo era stato deciso di presidiare i terreni dei quali avrebbero potuto occuparsi quel giorno gli avversari, perché vidi squadre miste d'uomini e donne accamparsi sugli appezzamenti delle barbabietole, e altre spandersi qua e là, sui terreni arati in attesa delle zappe, sopra l'erba spagna, ai bordi del gran campo di granoturco, dentro al vastissimo orto rosseggiante di pomodori maturi. Non capii invece perché mai una fitta fila di donne, tra le quali anche mia sorella, si era seduta lungo il fosso esterno della risaia e molte scalzatesi tenevano i piedi nudi a mollo.
Non succedeva in pratica niente, i socialdemocratici non avevano neppure abbozzato un minimo tentativo d'opposizione ed erano tutti spariti, indubbiamente annoiati ed accaldati gli occupanti non mantenevano più i posti di presidio loro assegnati, giracchiavano qua e là commentando giulivi la facile vittoria, gruppetti d'uomini e donne scherzavano, s'accapigliavano, visti appieno solo da me, dietro il precario riparo di una vite, un ragazzo che ammiravo per la sua gran forza da ercole tentava di baciare e stendere al suolo la moglie dì Filipponi, il norcino che ogni anno ci ammazzava il maiale; all'ombra del pioppone, unico albero in un vasto giro d'orizzonte, parecchi uomini attorniavano i capi dei sindacato, discutevano vocianti.

Il rombo dei camion, subito fragoroso e gravido di minacce, si fece sentire all'improvviso, sorprese tutti nettamente, anche se poi ciascuno in cuor suo era quasi sicuro che sarebbero arrivati e non se ne parlava soltanto per scaramanzia.
Allocchito da ore di sole sopra la testa, già m'ero mezzo levato, anche pungolato dalla fame, per tornarmene a casa non poco deluso: lo sferragliare degli autocarri mi ributtò invece lungo disteso sotto la sterpaglia dell'argine, eccitato e impaurito; gridavano in molti sull'altra banda del torrente, una donna correndo avanti e indietro gettava l'avviso a raffiche, come se qualcuno rimanesse ancora là tra loro all'oscuro:
- Gente, la celere, gente, la celere!
Parve per alcuni istanti che la colonna in avvicinamento a velocità sostenuta intendesse procedere senz’altro oltre il ponte, anche schiacciando le biciclette a grovigli sopra parcheggiate: il primo camion della fila frenò di botto all'ultimo istante, con stridore grande, sollevando un polverone; e a fiotti fuori da tutti i cassoni balzavano a terra poliziotti e poliziotti, di corsa, in ordine sparso, transitarono sul ponte, si chiusero in formazione raggiunto lo stradello, appena dentro La Valletta.
Con gli elmi luccicanti e le visiere calate sulle facce, i moschetti ad armacollo puntati contro il cielo e i lunghi, neri manganelli agganciati alle cinture, rinfocolarono lo spavento che già mi pervadeva e m’acquattai ancora di più nell'erba, avrei del tutto voluto non trovarmi lì, a poco serviva ragionare che l'ostilità di quei dannati non si sarebbe riversata contro di me, io stavo poi in terreno non conteso, neutrale; e anche s’era aggiunta e prevaleva adesso la paura per i pericoli che correvano i miei genitori, con quella venuta massiccia dei celerini.
Al di là del torrente i due schieramenti per qualche tempo si scrutarono muti e guardinghi: poi un tizio in borghese vestito di bianco avanzò, si fermò davanti alla formazione dei poliziotti, un milite gli mise tra le mani un megafono e quello prese a parlare:
- Cittadini, lavoratori, che cosa vi è saltato in mente? Vi rendete conto di stare commettendo un gravissimo reato? Vi siete abusivamente installati su una terra in cui non avete alcun diritto di stare, impedite ad altri lavoratori di svolgere legittimamente l'opera loro, io adesso dovrei cacciarvi via con la forza e non solo, anche arrestarvi, sì, perché la legge contempla la galera per il gravissimo reato di cui vi state macchiando; ma io, per ora, sono addirittura disposto a trasgredire il dovere mio, voglio credere che vi siete spinti contro la legge impulsivamente, con leggerezza e per ignoranza, perché mal guidati avete dato ascolto a gentaglia che per i propri interessi politici tira a rovinarvi; e dunque chiuderò un occhio, tutti e due anzi, se voi adesso sgombrate in quattro e quattr'otto, pigliate le biciclette vostre e tornate a casa!
Il capo biancovestito dei celerini intendeva forse aggiungere qualcosa ancora ma desistette, perché il suo discorso già in precedenza respinto con fischi, grida isolate e risate di scherno, era divenuto quasi inudibile dal momento in cui risuonò la prima pernacchia (che mi parve femminina) e quella fu il la per un fragoroso concerto grosso con accompagnamento vario di invettive ed ingiurie:
- Piantala buffone di sputare cagate! Ti conosciamo, sappiamo bene che non c'è al mondo un porco più porco di te! Vieni avanti se hai coraggio con i tuoi scagnozzi, a tirarci fuori, e vedrai che non la passi liscia. Non esce mai un'acca di vero dalla tua boccaccia, sei più falso di un biscione! Ti venisse un canchero secco alla lingua!
A lungo quel tizio con faccia sprezzante assorbì inerte il subisso d'insulti ma poi s’innervosì, lanciò un grido gutturale arrabbiato e in sincronia, con gesti nudi e ritmati, tutti i poliziotti si sfilarono i moschetti dalla schiena, li impugnarono con grugni torvi, tenendoli in diagonale davanti al petto, a corta distanza da questo. Quell’improvvisa e imprevista manifestazione di disponibilità dei celerini all'adozione di atroce violenza turbò la schiera schiamazzante degli occupanti, valse a sedare di botto la buriana. E ostinato, quel capo degli sbirri un momento innanzi così sbeffeggiato volle ancora farsi sentire dai lavoratori in lotta, con voce rispetto a prima nettamente infoschita:
- Bravi, divertitevi a prendere in giro e ad insultare le forze dell'ordine, colmate in questo bel modo la misura dei reati! E io vi servo subito di barba e capelli e vi do tempo mezz’ora per sgomberare: trascorsa la quale ordino la carica e saranno guai seri per tutti coloro che oseranno ancora tenere abusivamente i piedi su questa terra! Ma poi, dico io, - riprese dopo un attimo di pausa con tono di voce che intendeva di nuovo mostrarsi conciliante e quasi paterno, - anche ammesso che abbiate buone ragioni per essere scontenti, non potevate scegliere una maniera più civile, soprattutto rispettosa delle leggi vigenti, per esprimere la vostra protesta? Invece no, subito sotto con l’invasione della terra e la lesione dei diritti altrui! Un bel modo davvero di invocare e pretendere la giustizia!
Se pure le minacce e il pistolotto non furono ascoltati in religioso silenzio dai dimostranti, tuttavia non suscitarono la caciara generata dal primo discorso: intuii che forte era l'impressione prodotta da quei fucili impugnati e viva l'apprensione per quanto sarebbe successo allo scadere dell'ultimatum.

Con intervento quanto mai opportuno, parlò allora il segretario della camera del lavoro, si rivolse ai braccianti in lotta, al commissario di polizia e ai celerini, a me che stavo intanato sull’argine dentro i cespugli quella viva tirata infuse un profluvio di coraggio e gran desiderio di uscire fuori, fieramente, allo scoperto:
- Compagni, non lasciatevi impressionare ora dalle prepotenze e dalle intimidazioni di questo individuo. Abbiamo scelto questa grave e impegnativa forma di lotta, l’unica efficace purtroppo per far valere le nostre rivendicazioni e la porteremo sino in fondo con assoluta fermezza, e nessuna minaccia potrà costringerci a tornare indietro a mani vuote, convinti come siamo di stare battendoci per una causa sacrosanta, che ha un peso decisivo non solo per noi ma per tutti i lavoratori d'Italia che in questo momento debbono subire pesanti attacchi da parte della classe padronale. Se le cosiddette forze dell'ordine rischieranno la mostruosa decisione di aggredirci fisicamente, ebbene troveranno da parte nostra una risposta ferma ed adeguata, non sarà facile per nessuno staccarci da questa terra di cui abbiamo bisogno, e anche se ne verremo strappati ci torneremo subito sopra; stiamo attenti però a respingere senza debolezze ogni provocazione che ci verrà fatta da costoro, non ci abbandoneremo mai a quei gesti di reazione sconsiderati e folli che la celere vorrebbe indurci a compiere per trarne il pretesto di una repressione massiccia e maligna. Lasciamo dunque totalmente ai nostri avversari (ché tali sono purtroppo anche se la Costituzione li vorrebbe esclusivamente difensori della giustizia e del bene comune) la responsabilità morale e politica di quanto potrà qui accadere. In quanto a lei, vice questore Capuozzo, abbiamo ancora una volta ammirato con quanta abilità lei sa, servo diligente dei padroni che l’hanno cosi bene istruita, mostrare nello stesso tempo la carota ed agitare il bastone; ma dobbiamo dirle con tutta franchezza che non c'incanta né c'impaurisce e che i suoi discorsi per convincere dei lavoratori in lotta a sbaraccare e tornarsene a casa buoni buoni fanno davvero ridere i polli. E voi, militari delle forze di polizia, costretti a starvene rigidi come baccalà, con la testa infuocata da questo sole ingabbiata in un elmaccio mostruoso, se costui avrà davvero l'impudenza di scagliarvi contro di noi, pensate prima di obbedire all'ordine che voi bastonerete dei poveri lavoratori che si battono con la forza della disperazione per il pane, compagni di sofferenza e di lotta dei vostri padri, delle vostre madri, dei vostri fratelli che sono rimasti a morire di fame nel Sud, sfruttati ed avviliti sulle terre degli agrari, in quel Meridione dal quale siete fuggiti inseguendo la speranza del riscatto ed ecco, i padroni si sono subito vendicati per il coraggio da voi dimostrato e v’hanno messo in mano un manganello, per bastonare i vostri fratelli di classe!
Avrei giurato che la conclusione di quella favolosa perorazione avrebbe scatenato gli applausi più fragorosi dei lavoratori: invece, stranamente, cadde nel silenzio dei compagni, anche se, senza dubbio l’approvarono in pieno e lo notavo dai fermi cenni di assenso di quasi tutti; perché la tensione li attanagliava alla gola e a nessuno quello parve momento d'applausi.
A braccia incrociate il vice questore Capuozzo stava impalato davanti alle sue truppe, si sforzava di atteggiare le labbra a un sorriso sprezzante e guardava fisso il leader avversario che l'aveva provocato, con una volontà di sfida scritta negli occhi.
Nell'intervallo che scandiva il tempo dell’apprensione montante verso la scadenza dell'ultimatum, indagai più volte sotto la visiera degli elmi la faccia dei celerini e ancora nelle orecchie mi risuonavano le parole del nostro capo a loro indirizzate. A renderli così terrifici erano soltanto la divisa e gli orpelli. Sotto panni normali sarebbero parsi meschini e tali da non incutere spavento neppure ai pulcini. Riuscivo con un po' di sforzo a vedere le colate del sudore lungo le guance scure e scavate, le mani ossute di molti, non salde e in cerca sempre di nuovi assestamenti attorno all'arma impugnata, mi rivelarono un’inquietudine non inferiore a quella dei manifestanti.

E venne l'ora. Sulla terra i lavoratori in lotta smisero di consultare gli orologi, parlottavano fitto mentre i gruppi si serravano e io capii che si preparavano a sostenere l’assalto. In retroguardia andavano disponendosi le donne, qualcuna protestava a voce alta e voleva stare davanti, altre, anziane o troppo possedute dalla paura, furono allontanate d'autorità e si posero in salvo in terreno neutrale. Nello schieramento compatto io individuai, o forse soltanto mi parve per il gran desiderio di averli sott'occhio, mio padre, mia madre e mia sorella e di nuovo, rispetto a prima ancor più invadente, mi permeò la paura. Ma niente in pratica succedeva. La carogna Capuozzo camminava nervosamente avanti e indietro lungo la formazione dei suoi poliziotti, si detergeva il sudore stillante dalla crapa con un fazzolettone bianco, chiaramente appariva che non sapeva adesso che pesci pigliare, forse si rimproverava la precipitazione con cui s’era lasciato scappare quel maledetto ultimatum, nessuno l'aveva forse autorizzato a scendere senza inconfutabile provocazione a vie di fatto e quella gente rognosa poi dimostrava fuor d'ogni dubbio che non avrebbe ringraziato per le manganellate piovute sulle teste, comunque se lasciava passare ancora del tempo rimanendo con le mani in mano la sua credibilità andava a finire sotto i tacchi. E a furia di escogitare e scartare progetti e progetti, finalmente gli attraversò il cervello un’idea maligna e luminosa a suo avviso.
All'improvviso smise il suo passeggio da leone in gabbia e lanciò ai celerini ordini secchi e concitati tanto che subito non ne afferrai il senso: e vidi vari uomini riporre con furia ad armacollo i moschetti, uscirono correndo dalla formazione, verso il ponte e l'argine del torrente; abbrancata la bicicletta più vicina il più lesto dei poliziotti se l'issò sopra la testa, la tenne un attimo brandita, come un manubrio ginnico o un trofeo, prima di scaraventarla nel mezzo del torrente con una sghignazzata.
Non era ancora scomparsa del tutto sotto il pelo dell'acqua verdastra che altre e altre, una gragnuola incessante di biciclette, la seguirono nel tonfo e a grovigli gli schizzi, dapprima cristallini man mano sempre più melmosi, scaturirono e ricaddero a lungo, irrorarono presto tutta la fiancata del ponte.
- Schifosi, figli di puttana, porci, che vi venisse un canchero a ognuno, sacchi di merda, marocchini puzzoni e cornuti, te ti conosco, una volta o l'altra ti pesco da solo senza divisa e allora ti faccio passare un brutto quarto d'ora, lasciala o ti fracasso la testa con questo mattone, se la ride pure quel grugno di cane!

Esterrefatti per un momento all'inizio dello scempio, quando risultò inequivocabile la deliberazione del criminale Capuozzo, i braccianti s’avventarono contro di lui e gli scagnozzi sciagurati in quella devastazione con un profluvio di contumelie e offese totali, condite da gesti di rabbia, di scherno e minacce. Impotente e allibito io vidi le tre biciclette della mia famiglia piroettare contro il cielo e poi schiantate nel mostruoso ammasso, ormai un immane, caotico scheletro di diga ben alto sopra la superficie del torrente. Quei maledetti avevano preso gusto allo sfracello, se ne impipavano delle invettive, allora si ruppe il fronte dei dimostranti, molti avanzarono contro quegli energumeni frenetici nel rovinio, decisi a stroncare la carognata con una opposizione violenta, ma quasi subito si bloccarono, per l'urlo di Capuozzo e lo sferragliare dei proiettili immessi nelle canne, videro le bocche delle armi calate all'altezza dei loro petti. Udii allora grida indignate, assassini, briganti, ci vogliono addirittura ammazzare, un grumo cospicuo di terra fendette il cielo, per un pelo mancò la nuca di un poliziotto in procinto di scagliare nel torrente la sua ennesima bicicletta. Soprattutto le donne avevano le mani cariche di quelle munizioni, poiché s’annunciava una pericolosa sassaiola il segretario della camera del lavoro si interpose:
- No, compagni, che cosa vi è saltato in mente, non rispondete così alla stupida, teppistica provocazione! Ma non v’accorgete che questo povero Capuozzo sfoga contro le biciclette la sua rabbia impotente, la fermezza della nostra lotta ha già sconfitto il suo disegno repressivo, non roviniamo tutto proprio adesso, a un passo dalla vittoria!

Quel giorno in pratica non accadde più nulla. Dopo che, con stolta pignoleria, anche l'ultima bicicletta fu staccata dall'argine e piovve nel groviglio, trafelati i maramaldi si riconfusero con il resto della truppa, che ancora teneva i dimostranti sotto la minaccia dei moschetti abbassati. Capuozzo non osò intraprendere lo sgombero della terra occupata con la forza, visibilmente non sapeva che pesci pigliare, ancora per un po' tenne gli uomini in formazione, faccia a faccia con i lavoratori in lotta, poi diede l’ordine, di corsa i celerini raggiunsero i camion, salutati da gesti e rumori di scherno degli avversari, dopo furibonde manovre per il dietrofront i camion scattarono ruggendo, si dileguarono in un baleno schizzando addosso ai dimostranti turbini di polvere bianca.
Fu un lavoraccio maligno recuperare le biciclette, nella melma fino al collo, bestemmiando ed insultando gli esecutori di quella vigliaccata uomini e donne districavano con cautela ruote, manubri e pedali, spingevano le biciclette sgrovigliate fin sulla cavedagna, qui era pressoché impossibile il riconoscimento di proprietà, per molte risultò indispensabile una ulteriore immersione in acqua meno torbida, all'epilogo di quella prima giornata di lotta i lavoratori tornarono tutti alle case infangatissimi.

La mattina seguente i braccianti furono presi in contropiede dall'iniziativa dei poliziotti. Prima dell’alba io m'ero svegliato di soprassalto, colpito da un clangore insistente di camion in marcia, ma sonnacchioso non avevo neppure tentato d'afferrare il motivo di quello straordinario passaggio. Quando fu in vista del ponte che portava sulla terra contesa, la fila dei lavoratori s'accorse che esso era intasato da una barricata di camion e che i celerini, moschetti in pugno, lo presidiavano, sparpagliati anche lungo l'argine, vigilanti su ogni possibile punto d’accesso.
Scordate le raccomandazioni ricevute e ribadite, io poco dopo addirittura mi mescolai alla folla disorientata e furibonda sulla riva, discorrevano tutti concitati, secondo alcuni la mossa dei poliziotti li aveva proprio fregati e per quel giorno la lotta era persa, poi altri osservarono che invece potevano benissimo impedire ai saragattiani di portarsi sulla terra per lavorarla e così avrebbero in ogni modo raggiunto il loro scopo, questa strategia alternativa fu presto approvata da quasi tutti e quindi, ignorando i celerini, si prepararono a fermare con le buone o con le cattive gli avversari. Ma l'astuzia volpina di Capuozzo non aveva trascurato proprio niente, in contrasto con il buon senso e con l’abitudine i saragattiani, dopo aver percorso dal paese un lunghissimo giro vizioso, arrivarono tutti dall'altra parte e si misero subito a lavorare con gran lena, all'apparenza incuranti delle raffiche rabbiose di insulti che i dimostranti, dopo un attimo di smarrimento, rovesciarono loro addosso, a fiotti frustanti e insistenti.
Non fu mai appurato, neppure con la vendetta del processo contro i lavoratori che poi si tenne, molto tempo dopo l'epilogo tragico di quella vicenda, quando ormai i partecipanti quasi s'erano scordati delle loro iniziative nei giorni della lotta, da quali mani fosse uscito il grosso grumo di terra secca che sorvolò il torrente e la barriera protettiva dei poliziotti e si frantumò sulla schiena curva di un saragattiano, suscitando in costui un grido di dolore e una gran imprecazione.
Fu quel gesto di sfida violenta a innescare la fase più aspra e pericolosa del contrasto, di lì a poco il cielo era solcato da una gragnuola di proiettili e non pochi andarono a segno in un primo momento, finché i socialdemocratici non abbandonarono a precipizio le posizioni dì lavoro e si ritirarono oltre la portata dei nostri colpi, ma si erano evidentemente stufati di subire da allocchi perché di lì a un attimo tornarono a tiro carichi di munizioni e subito infuriò lo scambio vivacissimo dei massi di terra. Era quello allo stesso tempo un gioco e una dura lite, mi divertivo un mondo, come tutti del resto, a scagliare manciate di zolle oltre il fossato e a schivare le bordate che precipitavano nei miei paraggi ma intervenne Nerio purtroppo, un amico di mio padre, che mi trascinò di peso giù dall'argine sul quale ferveva la lotta e minacciosissimo m’ingiunse di non immischiarmi più; così dovetti starmene in disparte, lontano, a guardare la zuffa immalinconito.
Ma risi divertito quando all'improvviso vidi un poliziotto a mollo nel torrente che si dibatteva e annaspava, pensai lì per lì che fosse scivolato nell’acqua accidentalmente spinto o colpito con un masso da un saragattiano, poi quella apparve una sua assurda iniziativa, poiché non rinculò, teneva all'asciutto con entrambe le mani il moschetto sopra la testa, camminando affondato nella melma arrancò verso la riva tenuta dai dimostranti, vi si issò a fatica zuppo d'acqua fìno al collo e appena fu ritto al cospetto del nostro schieramento imbracciò l’arma e scaricò verso il cielo un paio di furibonde fucilate che lasciarono tutti stecchiti per lo stupore e interruppero di botto la sassaiola; infransero il silenzio, impressionante dopo i due fragori, dall'altro argine urla disumane di Capuozzo, insolentiva a tutto spiano il suo uomo, gli imponeva di ritornare subito indietro.
Circondato dagli avversari il celerino dovette sorbirsi anche i loro dileggi e insulti roventi; allora perdette completamente la testa, se già non era ammattito fino al midollo, afferrò il moschetto per la canna e lo roteava in aria imbufalito a mo' di clava, i dimostranti si ritrassero per non essere abbattuti ma un ragazzone non gradì quella prepotenza, passò alle spalle dell’energumeno e lo scaraventò in terra con una gran pedata nel culo. E subito un nugolo di gente inviperita gli piombò sopra, gli venne strappato dalle dita il moschetto (scaraventato senza indugio nel fosso), qualcuno si prese il suo elmo, non fu tanto menato, ad ogni modo qualche calcio e qualche pugno gli cascò addosso senz'altro.
Dalla sponda presidiata i colleghi del temerario supposero chissà quale massacro, s'aggrumarono agitatissimi a consulto, per intimidazione vennero esplose contro l’azzurro parecchie fucilate, quando il poliziotto balordo cadde a terra scalciato, un folto drappello schizzò vociando orrendamente verso il ponte e mentre i più veloci lo percorrevano io, nell’imminenza del grave pericolo risucchiato da un'atroce paura, scappavo a gambe levate, imitato del resto da non pochi dimostranti, donne soprattutto; e dunque, recuperato un filo di coraggio, assistetti da cospicua distanza, acquattato dietro a un albero isolato nella campagna, all'impatto e all’evolversi dello scontro. Lavoravano frenetici i manganelli, lo schieramento dei braccianti si era frantumato ed io, all'improvviso al di là del terrore e dell'audacia, fremevo impotente; ma non tutti fuggivano tra le stoppie e il trifoglio, i più risoluti non s'erano mossi o avevano subito controllato l’istintivo cedimento fermandosi, ingaggiavano zuffe furiose con i celerini, senz’armi rispondevano comunque con pugni e calci a ogni fendente di manganello.
Non so se accadde perché incalzati dalla furia dei poliziotti invasati o perché alcuni vollero coinvolgere in quella gran rissa i socialdemocratici, distogliendoli dal loro ruolo passivo di spettatori pacifici: vidi comunque diversi scioperanti che s'erano buttati nel torrente e poco dopo violavano fìnalmente la terra contesa, si precipitarono contro gli avversari impalati stupefatti, ebbero l'agio di rifilar loro qualche cazzotto poi la maggior parte di quei saragattiani optò per la ritirata precipitosa, s'intanarono quasi tutti nel fitto di un campo di granturco, provvidenziale lì presso.
E subito quella variante tattica fu imitata da quanti poterono, correndo a perdifiato sotto l’incombenza dei manganelli arrivavano sull'argine e di lì, uomini e donne, letteralmente si tuffavano nel fosso, si sganciavano così dagli inseguitori, del tutto riluttanti a seguirli in quei bagno.

Nel giro di pochi minuti il fulcro della battaglia si spostò dunque a La Valletta, eccitatissimo e incosciente, per non rimanere tagliato fuori, riguadagnai l'argine appena sgombrato. Nel nuovo terreno di lotta, in un primo momento, interdetti i poliziotti non sapevano chi manganellare, perché gli occupanti s'erano mischiati ai socialdemocratici, ne utilizzavano i corpi come scudi; distribuirono pertanto svariati colpi a casaccio, finché i meno torpidi s’avvidero che bussando quanti indossavano vestiti zuppi d'acqua e lordi di melma non potevano sbagliare bersaglio.
Mi capitò sott'occhio Capuozzo che sbraitava, sembrava fuori dalla grazia di dio, gioii riconoscendo che fuor di dubbio l’avevamo sconfitto, s'era proposto di impedire ad ogni costo l'occupazione della tenuta, ed ecco, in un gran polverone, tra urla, imprecazioni ed invettive quella terra era tutta corsa da noi; afferrò il megafono e lanciava comandi concitatissimi, l'intesero comunque i celerini perché di botto mutarono la tattica, interruppero gli inseguimenti, s’andavano cercando e raccogliendo; poi scattarono a gruppi all’unisono, ne vidi parecchi scagliarsi addosso a un giovane dimostrante possente, forse lo stesso che aveva steso a pedate il primo poliziotto assalitore, teneva in mano una vanga strappata ai saragattiani, col manico della quale un momento prima, scaricandoglielo a tutta forza sull'elmo, aveva messo fuori combattimento un avversario in procinto di fargli assaggiare il manganello.

S'accorge della muta lanciata, butta la vanga e scappa, sfortunatamente s’inzucca con una compagna sbucata dal granoturco anch’essa fuggente, cadono entrambi in un baleno sommersi dalla torma dei mastini, di lì a poco, tastata e pizzicata ma non trattenuta, la ragazza riesce a sgusciare fuori dal groviglio, mentre lui viene premuto al suolo da una selva di mani, si contorce furibondo e scalcia come un toro, tenta di raggiungere con la bocca le dita più prossime, un gran morso infine va a segno, nel gridio complessivo della lotta urla al cielo, molla la presa quando una raffica di bastonate gli s’abbatte sul cranio, s’affloscia.

Ipnotizzato dall’atroce scena guardavo dimentico di me; inerte come un morto, abbrancato ai polsi e alle caviglie, lo trascinavano torvi quei manigoldi, lo buttarono come un sacco dentro il cassone di un camion. Temetti che identica fine toccasse a mio cognato, correva sull’argine con tre poliziotti alla calcagna, per miracolo riuscì a scansarne un quarto che voleva intercettarlo spingendolo nel torrente, tifavo angosciosamente per lui, non si perse d'animo neppure quando dovette sentirsi sulla nuca il fiato affannoso di un inseguitore che chiamate a raccolta le forze quasi l'aveva raggiunto, seppe pure lui disperatamente accelerare, a gran distanza da me finalmente due segugi desistettero, il più ostinato venne atteso da mio cognato che gli mise le mani addosso e dopo breve contesa con un urtone lo tuffò nel torrente.

A mollo fin quasi alle ascelle, cauta nei movimenti per non affondare troppo, con la faccia china nascosta dall'ampio cappello circolare di paglia, una donna guadava quell'acqua; nessuno 1’infastidiva o premeva al transito sicché con tutta evidenza colei affaticata o forse sfiduciata se ne usciva sola sola, senza dare nell'occhio, dal conflitto: alzò il viso mentre s'issava aggrappata a giunchi lungo la sponda scivolosa, un tuffo al cuore, riconobbi mia madre, mi precipitai per aiutarla, la trassi all'asciutto che ansimava affranta, mi guardava in silenzio col volto immobile, tutto impolverato e percorso da striature di sudore rappreso; poi le guance vennero animate da tremiti, lacrime le sgorgarono dagli occhi, piangeva quietamente ma senza ritegno, quasi subito l'imitai. Da confuse parole che riuscì ad emettere intesi che non erano solo la tensione e lo scoramento, il pericolo e la paura entro cui s’era fino ad allora estenuata a prostrarla così: mi rampognava perché da testardo matto seguitavo ad impiparmene delle sue raccomandazioni, m'ostinavo incosciente a considerare quella dura protesta con feriti, sangue e arrestati alla stregua d'un gioco eccitante e, niente da fare, appena voltava l'occhio mi ci cacciavo dentro, in condizioni normali m'avrebbe messo in testa il giudizio con un sacco da botte.
E così, proprio mentre la battaglia raggiungeva i toni più accesi, i compagni fuggivano, menavano, cadevano e venivano pestati, io assai riluttante dovetti staccarmi, trascinato a casa per mano da mia madre, che del tutto non aveva ancora smesso di piangere.
Lasciato libero nel cortile, m’affannai subito a cercare il punto d'osservazione più favorevole, il pagliaio fuor di dubbio, m'inerpicai, sottratto lo scaletto del pollaio alle galline, dal cocuzzolo con qualche sforzo qualcosa si vedeva.
Rosseggiava un fuoco nei paraggi del ponte, bruciavano, accese chissà da chi, sterpaglie, dense contro il cielo s'innalzavano nere le volute del fumo; adesso forse i poliziotti, infischiandosene delle devastazioni inflitte così alle colture, usavano le camionette, con la risoluzione feroce di sloggiare ad ogni costo gli occupanti dalla terra: non troppo attutito dalla distanza mi permeava ad ondate il fragore dei motori, aguzzando gli occhi anche individuavo il carosello della vetture, ognuna stracarica di individui gesticolanti.
A quel punto m'attraversò la mente una fantasia mitologica ed epica, senz'altro non intonata alla drammaticità del momento, ma tant’è, m'immersi in essa, mi ci crogiolai, anche come antidoto al flusso di frustrazione e d’impotenza che da tempo m'invadeva.
Ecco, io ero Achille offeso (stavo proprio in quei giorni leggendo avidamente una rielaborazione in prosa del poema d’Omero), laggiù, presso le navi, i greci si trovavano a malpartito incalzati dai troiani. Alla vista di tanto scempio, un groppo di pianto mi bloccava la gola e l’ira funesta man mano svaporava dal mio cuore: un breve assorbimento ancora di quella ferale visione e non avrei inviato Patroclo a soccorso dei compatrioti, mi sarei mosso personalmente, con indosso le armi fatate splendenti come il sole, emettendo urla della forza dei tuoni. Prima ancora della mia comparsa sul campo di battaglia, Capuozzo e i suoi scagnozzi se la sarebbero fatta sotto per la fifa nera, per trucidarli avrei dovuto molto affaticare il mio velocissimo piede, dietro a quella ritirata vergognosa.

Intento alla fanciullesca trasposizione, avulso dal reale com'ero, m'accorsi soltanto all'ultimo istante dei tre che venivano, fuori da La Valletta, sopra la terra arata, in direzione di casa mia: l'uomo di mezzo quasi trascinava le gambe, non stava in piedi da solo ed era sorretto; impetrai, venni aggredito da un conato di vomito, fui lì lì per svenire quando scorsi quella testa, tutta un rosso di sangue che ancora sgorgava, aveva verniciato la faccia, il collo, il petto seminudo, soprattutto atroce la vista del cranio scoperchiato, con un brandello di cuoio capelluto penzolante lungo la nuca e lui era Goffredo Dardani, un conoscente stretto, abitava alla casa rossa ai margini della palude, a un tiro di schioppo da lì.
Tuffatomi giù dal pagliaio senza far uso dello scaletto, col rischio in quel frangente non valutato di rompermi l'osso del collo, correvo sconvolto verso la porta per dare l'allarme a mia madre e quel breve tragitto nella memoria è inestricabilmente legato alla disgustosa visione delle galline che si precipitavano alle spalle di Goffredo per intingere il becco nelle macchie del sangue che continuava a colargli giù dalla testa.
Sdraiato sulla tavola della cucina, con le gambe dalle ginocchia in giù fuori penzoloni, il ferito ansimava, non parlava, gli occhi sbarrati fissavano immobili il soffitto; ero stato incaricato di accendere il fuoco sotto il paiolo riempito d'acqua, adesso mia madre e un'altra donna lavavano con estrema cautela la testa a Goffredo e io laceravo a strisce un lenzuolo per farne bende.
- Ha perso troppo sangue, Cesira, - diceva piano mia madre e poi questo gran sbrago va cucito, ci vogliono punti e punti, siamo matte a credere di poterlo curare noi, bisogna assolutamente mandarlo all’ospedale!
- Neanche per sogno - obiettò risoluto Goffredo che pareva ma non era assente - là vorranno senz'altro sapere come mi sono procurato il guaio e va a finire che esco dall'ospedale per entrare in galera! No, no, aggiustatemi come potete, fasciate la testa e via, non è il macello che pare a voi, non fa anzi neanche più male, mi sembra di non averla addirittura!
Io porgevo le bende, guardavo inorridito lo squarcio sinuoso e in specie il brandello di scalpo che le due donne non riuscivano a sistemare nella zona da cui era stato divelto, non osavo davvero aprire la bocca ma avrei voluto gridare a Goffredo che invece era ridotto malissimo e avrebbe dovuto preoccuparsi e non poco.
Proprio allora venne in casa mia il segretario della camera del lavoro, mi meravigliai, non l'avevo mai visto in tutto quel giorno, in precedenza anzi m’ero domandato perché poi lui non era tornato a guidare la lotta.
Senza rispondere ai saluti deferenti degli astanti, osservò immobile abbastanza a lungo la testa semifasciata di Goffredo poi:
- Giovanotto, bisogna metterti tra le mani dei dottori, e di corsa! T’han proprio conciato come un poverocristo quei porci, su su, andiamo senza perdere un minuto di più, c'è la macchina qui fuori che c'aspetta.
Pur senza il rifiuto secco di prima, Goffredo rivelò anche al dirigente sindacale le sue apprensioni, costui parve intendere al volo quei timori, l’interruppe assentendo col capo:
- Non la conti mica sbagliata, compagno. Ma purtroppo non è la prima e non sarà l'ultima volta che a qualcuno di noi tocca di venire massacrato dai questurini. Sicché abbiamo preso le necessarie precauzioni e messo in piedi un'organizzazione: ti portiamo a Bologna, in una clinica controllata da compagni, sarai curato, protetto e ti garantisco che nessun maligno ci metterà il naso.
Portarono via Goffredo che il sole s'apprestava a ritirarsi e io, tutto assorbito dalle cure da prestare al ferito, quasi m'ero scordato della lotta che infuriava a La Valletta.
Del resto, a giudicare da quanto ero in grado di scorgere, i caroselli, le fughe e le zuffe si spegnevano man mano ed esultai, quando m'accorsi che la celere rimontava sui camions e subito quella gente nemica s'allontanava, con la solita prepotenza dei motori ruggenti.

Arrivò mio padre e a ruota anche mia sorella, a dissipare l'ansia che la mamma con le sue previsioni catastrofiche alimentava in me: malgrado la sua grande stanchezza, poiché fremevo, mi passò senza indugio le notizie più fresche dal cuore del conflitto.
- Ce l'hanno messa proprio tutta quelle carogne, ma non sono riusciti a buttarci fuori fino all’ultimo dalla terra. Si sono stancati a furia di pestarci, ma noi duri. Stasera non si contano i compagni con tagli in testa, gran dolori e pelle annerita dalle manganellate, ora li aggiusta alla meglio un'infermiera fatta venire. Finché non ci siamo organizzati loro hanno potuto agguantarci, quattro o cinque, e li hanno sbattuti dentro a un camion; come abbiamo mangiato la foglia stavamo in campana, appena mettevano le mani sopra qualcuno gli saltavamo addosso in una caterva e, oh se lo mollavano di botto. Ma non hanno tenuto legato nessuno: meno di mezz’ora fa il vice questore Capuozzo urla nel megafono e dice che se in quattro e quattr'otto noi sgombriamo lui in cambio rilascia gli invasori arrestati. Eravamo tutti stufi stufi di stare ancora lì a correre e a prendere botte, l'abbiamo accontentato tornando al di qua del fosso e lui davvero, ha scaricato i compagni e in un amen sono filati via, forse vergognandosi come cani per tutte le teste rotte a manganellate. La lotta continua e Masetti (il segretario della camera del lavoro qui più volte citato) dice che siamo alla stretta finale, a un passo cioè dalla vittoria. I nostri dirigenti stanno trattando e già hanno strappato sostanziose concessioni. Ma per farcela è necessario un ultimo sforzo e secondo Masetti l’opinione pubblica sarebbe molto colpita e ci sosterrebbe con ogni simpatia se noi attuassimo una maniera originale di resistenza e di protesta. Così stanotte dormiamo sulla terra, più tardi verranno i fotografi de L’Unità a riprenderci, in tal modo, lui dice, dimostreremo la nostra fermissima volontà di non cedere, costi quel che costi.

Mio padre bocciò senza neppure pensarci la richiesta di dormire quella notte accanto a lui sul suolo proibito e sotto le stelle ma più tardi m’invitò ad accompagnarlo là, portava ai compagni alcune bottiglie del suo vino migliore, il rimedio più efficace per tener fuori dal corpo l’umidità della notte campata all'addiaccio. Ma l'aria era tiepida e dolce, allettava alla veglia e a uno svagato passeggio lungo le cavedagne. Nel cielo luminoso sotto un formicolio dì stelle navigava una luna dorata e tanto cresciuta forse non l’avevo goduta mai. In quella quiete sovrana, dimentico dell’agitazione e delle paure appena sfumate, saltellando rincorrevo la mia lunghissima ombra mentre da tutti i fossi e dalle risaie s'innalzava subito armonizzato un concerto di migliaia di ranocchie.
Alla gente che bivaccava sull'argine, dentro La Valletta, erano state portate dal paese vivande in grande abbondanza, coperte e anche una tenda, la stavano montando e io avrei dato un occhio per poterci passare sotto la notte.
Dapprima una voce di donna tremula, fascinosa, poi parecchie altre da quella suscitate formarono un coro: fremevo commosso ascoltando l'inno dei lavoratori, cantarono a lungo, appassionati, dando fondo al repertorio delle canzoni della protesta bracciantile e operaia poi seguitando con quelle nate dalla Resistenza: mano a mano tutti i presenti, interrompendo discorsi e scacciando pensieri individuali, si lasciarono attrarre dai canti, divenne una cosa emozionante e profonda, capii quella sera che cantare non è sempre un futile riempitivo per gente oziosa, può funzionare come potente strumento per legare tra loro i cuori e incitarli a tener duro.

- Dove te ne vai, bambino, vieni qua un momento solo a tenermi compagnia, voglio parlare con te, ho da dirti cose importanti.
Non sentivo sonno ma era tardi e il babbo aveva appena domandato a mia sorella di accompagnarmi a casa; dal tono noto della voce più che per l'agnizione permessa allo scuro dalla figura accovacciata, seppi non poco meravigliato che a richiedermi era stato il vecchio Toni Trombetti. M'accostai titubante e al contempo lusingato. Nessuno a Medicina ignorava le gesta passate di Toni e tutti gli volevano bene come a un gran simbolo, anche all'ignoranza di un fanciullo l'intrepido antifascista, per anni e anni carcerato, che in galera stette a contatto con gli oppositori più famosi e venerati del regime nero, sapiente e carico d’esperienza, appariva una figura leggendaria.
- T’ho sempre visto sai, per tutto il giorno ed anche ieri, con gli occhi instancabili dentro a questa lotta, bravo, non perdere niente delle cose che succedono, impara e capisci fin dalla tua età il mondo. Il popolo chiede il lavoro per il pane ed ecco la forza dei padroni risponde con il bastone. Ed è così da sempre. Il fascismo è nato perché ai proletari si sono aperti gli occhi e hanno cominciato a restituire colpo a colpo. Allora i padroni hanno armato contro il popolo il braccio degli assassini. Ma l'importante è resistere, non mollare. Se noi non chiniamo la testa come buoi ci picchiano, ci fanno marcire in prigione, ci massacrano, ma gli tocca stare in allarme, non vincono mai, capisci, anche se stanno sopra e la loro paura è il nostro coraggio, come è capitato al fascismo di Mussolini anche i padroni, giunto il momento che è stato previsto, crolleranno a terra sotto il peso della nostra lotta di classe. E il tempo della vittoria è il tuo domani, per questo tu non devi perdere i giorni a giocare, scopri fin da ora la faccia del capitalismo, impara la bellezza del comunismo, e concorrerai così a costruire la società senza classi, degli uomini liberi, uguali e giusti, sognando la quale tanti compagni sono morti e ancora periranno. Ecco qui, non dimenticare mai queste raccomandazioni, a scuola la maestra ti parla mai delle vittime del fascismo e dei partigiani, sono le cose più importanti della cultura, te ne parla, eh?
Consapevole di deluderlo biascicai un no imbarazzato, ma mi parve che lui non mi prestasse più la minima attenzione, con la testa reclinata sul petto forse dormiva.

E per la terza volta il sole si levò sul terreno della lotta. Purtroppo io cedetti al sonno e mi svegliai che il giorno era assai inoltrato, mi precipitai dabbasso ma immediatamente mia madre (quella mattina lei aveva dato forfait, forse proprio per impedire a me di ficcarmi nella mischia) mi sbarrò il passo:
- Tu, oggi, non metti piede fuori dal cortile, altrimenti ti meno come un materasso e stasera per soprammercato ti mette le mani addosso e saran pesanti tuo padre.
Così legato dal duro divieto, montai comunque nell'osservatorio sul pagliaio: per la frenesia dei caroselli rombanti in mezzo alle colture, il vorticare della gente tallonata dai randelli e l'urlio diffuso, mi parve all’istante che la repressione poliziesca avesse raggiunto punte d'asprezza e di cattiveria fino ad allora non osate.
Lo schianto della prima fucilata m'assordò pochi istanti dopo che dalla Fiorentina le campane, sopravanzando miracolosamente il bailamme dello scontro, avevano sonato mezzogiorno; calato dal pagliaio per stanchezza, pur con l'orecchio e la mente in tensione, mi trastullavo, nell'ombra esigua dietro la casa, con i miei consueti giocattoli di povero: balzai in piedi, corsi, oltre ragione atterrito propalai a gran voce un inutile allarme:
- Ma’, tirano schioppettate, ti dico ma’ che sparano, là!
Stemmo immobili in ascolto, con apprensione che s’accresceva assorbita dai reciproci volti, reiterati fragori ci scossero, una raffica rabbiosa che parve interminabile e quando zittì un silenzio impressionante. Ci rassicurammo precariamente con l'ipotesi dell'intimidazione, del resto già l'avevano fatto, i manigoldi per impotenza e ferocia scaricavano le armi contro il cielo.

Passarono ore, il sole batteva cocente, io sguazzavo nell'acqua del fosso al limitare del cortile, ostinato nell’improbabile tentativo di catturare pesci con le mani, quando all'improvviso, isolato, lacerò l'aria un colpo di fucile.
La quiete profondissima che segue ogni schianto dopo un attimo soltanto di stupore attonito era ingorgata da un coro immenso di strida acute, di pianti disperati, di imprecazioni urlate a squarciagola: il cuore mi percuoteva il petto come un martello, scordatasi di me mia madre s’era avventata sopra il terreno arato, trascurando per la gran furia il più agevole sentiero, e arrancava a più non posso verso La Valletta; mi buttai al suo inseguimento, arrivammo in un amen sull'argine di confine.
Tacendo tutti adesso, con una smarrita meraviglia dipinta nei volti e sguardi gravidi di preoccupazione, i manifestanti s'accalcavano attorno a un punto, indifferenti alle aggressioni dei poliziotti, ritiratisi del resto, silenziosi anch’essi, a distanza, davanti agli autocarri.
L'ammassamento si aprì e ne uscirono quattro persone, trasportavano per le braccia e le gambe un corpo inerte, di donna, nella veste bianca sul fianco destro una vivida macchia di sangue in espansione, gocce brillavano prima di staccarsi.
- Tu ci sei arrivato fin sopra, respirava? - Non ho capito, buttava sangue dalla bocca. - Gente, correte, strappiamo una camionetta alla celere, volete finire di ammazzarla, bisogna portarla all'ospedale di gran carriera! - Stai calma, Egisto fa segno di no con la testa. - E' spirata, è morta, dio porco è morta, assassini, assassini, l'avete ammazzata!
Terrorizzata e furibonda, la massa dei lavoratori parve intenzionata a scagliarsi contro gli omicidi e vidi i moschetti levarsi all'altezza del petto degli infuriati. Ma alcuni intuirono il pericolo terribile, schizzarono fuori dalla fiumana, si bloccarono al cospetto dell'avanguardia, rificcavano indietro i più spiritati con manate contro le spalle.
- Compagni, fermatevi - urlava uno con voce disperata - non perdete la testa, così andiamo al massacro, avete visto che cos’hanno già fatto, questi ci tirano come a conigli!
Come dio volle, la vinse il buon senso sull’ebbrezza di vendetta, s'immobilizzarono a qualche metro dal nemico, tendevano pugni frenetici, gli scaraventarono addosso caterve d'invettive e maledizioni. Poi di nuovo ne occupò le menti la consapevolezza atroce della compagna falciata, ancora i quattro dolenti e pietosi la sorreggevano, oltre il ponte, già fuori dalla terra maledetta: di nuovo assorta nel silenzio, in disordine, a passi affrettati tutta la folla s’accodò all'uccisa e se ne vennero lentamente verso di noi. Esterrefatto, con mia madre entrai nella processione, avido, chissà perché, di cogliere voci:
- Non è di qui, in pochi la conoscono, dicono che viene da Marmorta e si chiama Maria Margotti.
- E' il nostro destino di sfruttati, da sempre, chiniamo la testa dietro la prepotenza dei padroni e moriamo a poco a poco di stenti e di fame; pigliamo il coraggio a quattro mani, ci ribelliamo e ci ammazzano di brutto. Non c'è proprio niente da fare ma speriamo pure che questa povera morta serva a qualcosa.
- Era una compagna convinta e piena di coraggio, iscritta al partito da sempre, ogni volta in prima fila in tutte le lotte. Non c'è poi da meravigliarsi che fosse così, perché loro sparano nel mucchio ma a cadere tocca sempre ai migliori.
- Fa rabbia e dà dolore che stavolta i padroni per fregare tutta la classe bracciantile ci abbiano messi contro ad altri lavoratori i quali orbi ed idioti, come ancora troppo spesso noi siamo, per arraffare un pezzo di pane in più, si sono prestati al lurido gioco e adesso paghiamo tutti!
- Povera donna, proprio stamattina mi diceva che lei, a patto di scannarsi, i suoi due figli voleva farli studiare e studiare fino ai gradi più in su, perché da grandi non fossero costretti come lei a scappare, con i poliziotti alle calcagna, per avere il diritto di campare!

Deposero l’uccisa sull'erba entro la lunga ombra tiepida dietro la casa e avanti che mio padre provvedesse a coprirla tutta con un lenzuolo, io ebbi per la prima volta l'agio e il coraggio di guardare la faccia d'una persona morta.
Non c’era spasimo in quei lineamenti e neppure terrore: composta, serena, pareva dormire spossata un sonno profondissimo; toglieva con la sua espressione dal cuore dei presenti paurosità alla concretezza della morte.
Lo sapevo bene, la fede religiosa nella sopravvivenza oltremondana dello spirito l'aveva da tempo cancellata dalle menti dei lavoratori la dottrina libertaria, e in parte anche dalla mia: ad ogni modo, adesso non saprei se per speranza o per superstizione, mentre una folla crescente, muta e partecipe, attorniava il cadavere velato dal lenzuolo e da un momento all'altro s'aspettava l'arrivo dal paese della carrozza funeraria, io dentro di me recitai in fretta, per viatico a Maria Margotti, più volte la preghiera dei defunti.
- Scappavamo gomito a gomito quando è stata abbattuta - raccontò a sera il babbo dando voce al muto dolore di tutti - poteva toccare a me e invece la pallottola ha pescato quella disgraziata; credo anzi che proprio io fossi il bersaglio dell'assassino, perché un attimo prima un poliziotto m'aveva acchiappato e per uscirgli di mano ho dovuto allungargli un pugno sulla faccia. Poi me la batto di gran carriera, con due o tre celerini incazzatissimi dietro, e mi trovo al fianco Maria: arriviamo a un fosso di scolo abbastanza largo, le urlo qualcosa, intendevo stesse attenta a quel passo; salto, atterro, sento un botto bestiale vicinissimo e un lamento forte: sempre correndo giro la testa di fianco, non c'è più Maria. Non so come ma riesco a fermarmi, malgrado la fifa mi fischi nelle orecchie se sono ammattito.
Giaceva nel fosso con la schiena già rossa, il sangue le pisciava fuori a fontanella. Mentre la tiravo su assieme ad altri accorsi guardavo attorno con occhi idrofobi: la rabbia aveva avvelenato ogni paura, giuro che avrei strozzato lo sparatore con le nude mani. Mi bastava in quel momento coglierlo con una sola occhiata e non l'avrei scordato mai più, anche se in divisa sono tutti uguali l'avrei scovato lo stesso, se pure nascosto in mezzo a tutta la celere d'Italia. Maria non era ancora spirata, le ho slacciato il vestito per aiutarne il respiro, abbiamo tentato di turare il buco che perdeva e perdeva il suo sangue: ma figuriamoci, lei ha aperto gli occhi, cercato addirittura di sollevarsi, le labbra si muovevano ma parole udibili non è arrivata a formarle; tutt'un colpo è ricaduta giù senza forza, con la faccia voltata alla terra.

Troppo spesso l’olocausto dei martiri, nella memoria di quanti su costoro qualche volta soffermano la mente, è reso meno sublime, o forse più atrocemente umano, dalla consapevolezza che esso è inquinato da venature di gratuità, che si tratta di un sacrificio assurdo, ascrivibile alla responsabilità distratta di tutti, non soltanto alla ferocia degli oppressori. Il tempo poi dissolve il ricordo, la compassione e la gratitudine; oltre l'attimo è solo il macellato a patire, vanificato in polvere del cosmo, la beffa della propria esecuzione.
Durante la mattinata, ore prima che la malvagità umana si manifestasse nel corpo di Maria Margotti, i dirigenti sindacali dei lavoratori "rossi" avevano concluso la trattativa con i leaders socialdemocratici, raggiungendo un accordo grazie al quale un certo numero di braccianti non saragattiani sarebbe stato quotidianamente assunto a La Valletta. Purtroppo nessuno si premurò di informare del successo con la dovuta sollecitudine i manifestanti, che si stavano dunque battendo a vuoto.
E un destino di morte si era compiuto quando infine la notizia si sparse: nessuno naturalmente esultò, il prezzo pagato parve sproporzionato rispetto a qualsiasi vittoria, in silenzio molti sorrisero amaro.