Congetture su finzioni fallimentari

 

Errano gli antichi filosofi quando s’affannano

a dimostrare che scorrono tra gli uomini

flussi di empatia: la concordanza tra i viventi

è evento raro ed accidentale e dunque

umanità è un vuoto collettore di sembianze

corporee, flatus vocis che accomuna

monadi animate da reciproca repulsione.

 

Mio fratello non riconosco l’individuo intriso

d’ideologia, accecato da utopie palingenetiche,

urlante agli ignavi obbiettivi di collettiva

soteria, che furioso per l’ostentata passività

degli schiavi vagheggia progetti d’ecatombe.

 

Diffido di quanti calpestano con passo

risonante la pelle del mondo, per il ribrezzo

dei tratti ferini che non simula

la perenne familiarità con l’ipocrisia.

 

Mere illusioni dunque le forme archetipe

della mente intellettiva ideando le quali

il supremo pensatore si consolò per gli impatti

atroci delle idiosincrasie astraendo

dal marasma del contingente i caposaldi

dell’universale attitudine a intenzionare il reale.

 

I cervelli umani si incagliano nella trama

dei desideri, quando dalle viscere urge

l’evidenza degli squilibri per consolazione

una larva viene investita dei carismi

della certezza e aureolati banditori

percorrono i paesi a martellare in teste

finora ottenebrate il verbo dell’ultima luce.

 

Perché dagli albori della storia mai sfumata

dagli umani cervelli la mania di gettare

addosso ai viventi manciate di salvezza:

adamantina deve scorrere la vita,

niente eguaglia l’ebbrezza di una illimitata

libertà, sottrarre la testa al giogo

dei padroni paga il sacrificio

della vita recisa innanzi sera.

 

Ma sia rintuzzata negli stomaci

degli illuminati la velleità di porci

pesante sul capo una mano protettrice,

affinché rincuorati dal costante ammonimento

non deragliamo fuori dal sentiero che sfocia

in utopia, per peccaminose avventure

in territori di gioie effimere,

non redenti dall’infusione del verbo!

 

Ostracismo alle chiacchiere che gracidano

miriadi di ranocchi petulanti!

Nel tumulto delle disordinate fonazioni,

con titanica ripugnanza la parola

si oppone alla voluttà di prostituirla,

affinché la sua succosa pregnanza di nuovo

s’effonda dalle menti, occorre che le guglie

della torre di babele abbatta al suolo

il terremoto dell’inconsistenza.

 

Oltre il Lete spezzato il cerchio della storia

pernotteremo senza memorie e volontà

di edificazione nel giardino afasico

dopo la millenaria espiazione redenti

dal gesto di rinuncia alle logomachie

che dall’opaco presente al caos del caso

eccitarono la bramosia di decapitare

le erme per l’ostinazione di innestare

sulle rovine i segni prometei

della disumana inettitudine a esistere.