Contro gli estremi aneliti estenuati

Contro gli estremi aneliti estenuati

alla redenzione

gli strappi ostinati verso l’ottusità

di un vano esistere

di una donna implacabile nell’esaltare

la propria impotenza.

 

Tu scruti ansioso nella serra asfittica

dell’attitudine a vivere il tempo

stampando impronte di luce

miracoli di germogli che testimonino

l’occasione del balzo numinoso

oltre il varco fuori dall’inappartenenza:

convogli energie per la speranza

della levitazione ma senza scampo

t’inchioda nel labirinto della tua

espiazione un profluvio di querimonie

da bocca forzata a dissennate fonazioni

dalla voluttà di giacere vittima

senza colpa per l’esercizio

della universale malignità.

 

Invano tu esorti a gettare sguardi

chiari sul mondo, a rivestire

di lucida dignità l’impatto

contro la rugosità degli eventi:

lei t’addita spietata ideali mortiferi

di squallida sopravvivenza abbarbicata

all’epidermide dei giorni.

 

Ti bruci e danni allora in ingorghi

di furore, incapace di svellere

il tentacolo che ti strangola,

mentre s’aggruma pestilenziale

l’impossibilità dell’empatia

tra parole che si azzuffano

smaniose di reciproca sopraffazione,

vomiti deserti e abissi

per preservare dai miasmi lo spirito.

 

Nel frastuono dell’afasia beffarda

t’arrendi all’evidenza:

per te il silenzio
nereggia di sassi aguzzi e ossa frantumate.

 

30 05 1978