Epicedio per Mirella
Ci trasporta la vita nel discorde
flusso del suo ritmo e dall’assillo
salva l’assenso ai percorsi del caso.
L’approdo sulla riva a contemplare
avulsi dalla ridda i meandri
ove s’estenua l’ambiguità del tempo
genera sentore di morte e il rovello,
per lo stile corrotto della sosta
nel quadrivio dell’essere, d’incidere
graffiti a testimoniare il transito,
sopra un tronco del bosco inesplorato.
Repulsione e voluttà di notizie
ferali allaga lo spazio degli affanni,
rabbrividiamo lambiti dall’alito
di lachesi calata a visitare
l’eletta all’olocausto che appena ieri
impresaga ci mesceva il balsamo
di parole leggere e l’illusione
d’una linea di luce da tracciare.
Ma il compianto è venato dal sollievo,
continuo con corpo inerte a bucare
la nebbia che sforma il senso dei giorni:
non su di me indugia l’occhio della parca,
acquattato entro anfratti nella pietraia
posso schivare più a lungo dall’ombra
il passaggio radente della falce.
Racchiusi in un mantello d’evidenza
(follia è la pretesa di plasmare
l’ostile rugosità degli eventi)
resta l’esaltazione quotidiana
del limite e l’ebbrezza di faville
soffiate dalla sorte sulla vita.
La memoria dei gesti assaporati
impregna la coscienza del presente:
irradiato nella carne dal fuoco
dell’attimo indiato dall’estasi
nella donna appassionata che intrisi,
riscatto nel ricordo l’ora opaca
e l’alea del tempo che incombe.
26 11 1978