In limine
I cuori degli uomini mi negano l’asilo
la pena del vivere batte più ritmata.
Serrato nel nascondiglio di carta una volta ancora
invochi la scintilla dal sasso come pentecoste.
Se solo nella torre in un mantello d’assenza
avverti il brivido dello spirito che soffia
per te non c’è condanna né salvezza
il sonno morta vita in una bara di ghiaccio.
Fuori la corsa dei selvaggi sordi all’angoscia
la luce inonda quei corpi che afferrano:
se il dolore e la morte occhieggiano dietro la porta
il riso ottuso sa rintuzzare il balzo.
Oscillante sulla soglia tra due carceri
un richiamo improvviso di campane ti sconvolge:
a terra schiantato dopo il primo slancio
confidi fievole un messaggio d’amarezza.
Eppure ancora non eludi la speranza
la luce modella guance soavi alle fanciulle
nella purezza dei corpi svelati il suggello:
il fuoco della vita può avvampare nell’istante
nel fumo dell’ipotesi fantasma la durata.
Il segno che t’arrovelli a incidere
sulla pietra del tempo
moneta la sofferenza della clausura
il volto di dio supplicato
nel silenzio d’abisso dello spirito
l’ostinazione di verità tangibili
a lenimento delle ferite quotidiane nella carne
poi la rassegnazione torpida dell’abbandono
ai rituali inani della sopravvivenza:
tra irrealtà non corre confine e sangue
trascini curvo nella polvere il peso del mistero
senza tempo se il miracolo della voce non si compie
nella pietraia che trasformi utopie in un giardino.