La misura dell’ombra
Per inverare apparenze d’esistenza
nell’ora che s’estenua,
sul sepolcro del Tempo
contributi azzeranti di macigni.
Rotoliamo abbuiati su percorsi assordanti
entro spelonche che rigettano immagini
ottuse di larve dannate alla stasi.
Trafitti dall’eco attutita del richiamo
al mutamento, folleggiamo ululanti
attorno a tavole imbandite d’illusioni.
Precipitare i sigilli dell’uomo
in un’apocalisse di negazione:
si delinea la forma
del segno che propone ipotesi di riscatto.
Nella landa, abissale per silenzi e caduta
mummificata dei venti, convennero
le vecchie prefiche, nere di vesti per epitaffio:
noi inneggiamo all’estinzione del predatore
rapace delle proprie carni,
dolenti per l’occasione albale
immolata nelle fauci del caos indiato.
Lo stridore dell’orda ebbra di sfida
dissolse la tristezza,
in delirio irrompendo nel recinto,
d’enigmi fumoso e d’ecatombe:
prostra il tuo volto notturno
di vecchio schiavo allenato
da schiocchi di frusta all’umiltà
davanti all’apparenza numinosa dei corpi
solari, nudi d’angoscia e di macerazione!
Protervi noi danziamo ed ilari lungo sentieri
lastricati di melodie astrali, impressi
dal carisma d’una scienza abbagliante,
eroi archetipi d’una generazione eletta
a banchetti d’estasi sopra una terra
pulsante e esterrefatta dall’ipostasi.
Da folgore di pensiero squarciata l’epidermide
del senso, l’iridescenza maliosa della durata
irrora il fulgore d’intelletti cosmici
illimitati nel fuoco posseduto dell’entelechia.
Rinnega con noi la morta gora
dei giorni piagati d’insussistenza
avventuroso nella selva a ricalcare
le orme che scalano l’empireo
dell’eterno presente ove il topazio
della Figura formale fiotta echi d’essenza
affioranti, se l’afasia ammutisce la frana
dei clangori, in corolle di parole enigmatiche
librate a impollinare deserti di disperazione.
Nello scrigno delle possibilità, indissolvibili
le illusioni di paesaggi edenici
irraggiati dalla grazia dell’azzurro
ove l’esistenza sciorina l’apoteosi
di percorsi estatici per uomini oracolari
sottratti all’ingiuria dello scacco
nella confluenza del presente
entro l’alambicco del desiderio.
Ma un’accozzaglia di venti atterra gli aquiloni
il caso e la necessità in coalizione
con l’empietà di mani dissacrate a lacerare
corpi di belve e nani
mentre il fanatismo eccita folle isteriche
a sancire contro la deviazione
l’inesorabile santità dell’intolleranza.
Perché c’irretisce il terrore dell’inconsistenza
tacitato per millenni da un’ecatombe
di predicazioni, se nello spessore dei misteri
s’accorcia la misura dell’ombra e mani
circoncise d’umiltà abbozzano il solatio
provvisorio ove labile fermenta
la certezza che non assàtana al deicidio.
Non la miopia dell’effimero indurita
nei tracciati opachi della storia,
sarabanda dei corpi aggrumati
in materia rugosa di contrasti nell’accidentalità
del quotidiano, non l’ingiuria dell’arma
scagliata nel formicaio a garanzia
degli eletti al privilegio della sazietà:
dalla pervicacia dell’assaporamento
senza collusioni redime
l’invito alla festa dell’ospite inatteso.
27 giugno 1980