Prologo della cecità

 

Chinare la testa al cospetto delle quotidiane opacità

cedere agli eventi l’egemonia sulla speranza d’estasi

sulla voluttà d’esplorare il centro ove esistere

non è scialo del tempo e corsa in uno spazio d’insensatezza

ecco il prologo della cecità, la caduta nell’inappartenenza

al di qua del confine che si stinge, nell’indistinzione dei territori.

 

La rinuncia alla zuffa per una posizione più vantaggiosa

sulla scacchiera estinguerebbe lo stillicidio dei compromessi

testimonianza dell’avulsione nei crocicchi la baia

della gente per smania di sopraffazione in recite di fumo assatanata.

 

Ma a contrastare la sirena della dissipazione nell’effimero

non soccorre l’evidenza d’un inane annaspare tra fantasmi

se neppure intravedi il bandolo dal quale si sciorini la matassa

se la tua presenza fluttua in un greto d’inconsistenze.

 

Sulla strada di Damasco il tuono dell’essere

per te non risuona:

osi allora la disperazione d’ingravidare la materia

e il tempo, con carismi d’entelechia che a vista

ti segnino la carne nella radianza dell’ipostasi.

 

Dal giorno lustrale esaltato alla perenne teofania del roveto

supplichi la durata dell’identità nella ressa degli schizofrenici

attizzi l’inesausta illusione che una voce flebile

imponga miracoli d’udienza librata in epicleti.