LE INDICAZIONI DI FIORONI: ELOGIO DELLA “RIBOLLITA”

 

Luciano Lelli

1       Preliminari dell’argomentazione

In questo saggio mi prefiggo di dar corso a una rassegna critica di vasto respiro, se pure inevitabilmente non esaustiva, delle specificità costitutive delle Indicazioni per il curricolo (IC) 2007, focalizzando con particolare attenzione l’indagine sull’impianto metodologico e sulle scelte didattiche di cui il documento si sostanzia.

Con lo scopo di inquadrare adeguatamente dette Indicazioni nella prospettiva diacronica e di farne risaltare anche per comparazione e contrasto le caratteristiche, dirò anche delle Indicazioni Nazionali (IN) 2004, che quelle appena entrate in scena sperimentalmente[1] sostituiscono, e attiverò in merito un insistito raffronto.

L’intento principale della corrente riflessione è di porre in evidenza i connotati costitutivi, i punti di forza e le peculiarità problematiche delle IC.

Adotterò in proposito uno stile espositivo prevalentemente catechistico, formulando per me stesso ed estensivamente per i lettori lapidarie domande alle quali tenterò di fornire essenziali ma sperabilmente pertinenti risposte.

 

2       Delle Indicazioni Nazionali 2004

È stata opportuna, è giustificabile la sostituzione presso che integrale delle IN con le neonate Indicazioni per il curricolo?

Manifesto in proposito qualche perplessità, ritenendo che sarebbe stato adeguato un intervento emendativo meno radicale (essendo comunque dell’avviso che le IN dovevano essere revisionate, per espungerne le numerose improprietà, come del resto previsto dal precedente inquilino della Minerva, che purtroppo non ha tempestivamente concretizzato l’intenzione). Il drastico accantonamento delle IN, infatti, potrebbe essere addirittura di nocumento alle attuali IC, condannandole  a un destino di sterilità e irrilevanza, se tornato al governo lo schieramento ora all’opposizione cedesse alla tentazione di adottare il medesimo comportamento.

 

Quali appaiono essere le caratteristiche delle IN che, ad avviso dello scrivente, avrebbero meritato una considerazione più cordiale, ovvero sia di venire tenute vive in campo, magari ad esse apportando i ritocchi e i restauri emersi come opportuni dopo un anno all’incirca di applicazione, molto tribolata e contrastata per altro?

L’architettura pedagogica, epistemologica e metodologica di quel testo, salda, compatta e coesa, innestata nella tradizione nazionale in argomento di più ampio e prestigioso respiro.

Il riferimento, appena sopra riconosciuto, al più consistente patrimonio pedagogico italiano ma con un esplicito e perseguito tasso di pulsione innovativa, verso orizzonti operativi inesplorati, atti probabilmente a ridare forza e slancio alla nostra scuola, senza dismetterne i collaudati connotati di valore, efficienza ed efficacia.

La connessione con le peculiarità più evidenti della riforma complessiva degli ordinamenti messa in cantiere (personalizzazione dell’attività formativa, identificazione di un docente con funzione tutoriale[2], dinamizzazione dell’orario scolastico, enfatizzazione del principio di responsabilizzazione esteso a docenti, alunni e genitori).

La previsione di una batteria relativamente inedita di strumenti operativi (unità di apprendimento, piani di studio personalizzati, portfolio delle competenze), probabilmente funzionali a sostegno della progettazione e della valutazione delle attività didattiche, magari da additare alla scelta degli insegnanti con meno accentuata inclinazione impositiva.

 

Quali, invece, gli aspetti problematici delle IN, che richiedevano in ogni caso un cospicuo intervento di restyling?

La perentorietà con cui il documento proponeva se stesso alle scuole (esso ha meritoriamente introdotto il termine Indicazioni, per evidenziare anche lessicalmente la sua natura “gentile”, l’intrinseca intenzione di porsi in umiltà al servizio degli insegnanti, attori primari dei processi formativi: ma poi, per via del suo tono non di rado prescrittivo e aggressivo, assumeva veste più di programmi vecchio stile che non di indicazioni).

La effettiva e concreta impostazione metodologica e didattica, alquanto approssimativa e confusa (mi riferisco in specifico alla denominazione delle discipline, alla configurazione delle unità di apprendimento e al processo per la loro messa a punto, alla determinazione degli obiettivi specifici di apprendimento e, soprattutto, alla definizione degli obiettivi formativi[3], alla articolazione caotica del cosiddetto PECUP).

La totale improprietà del sovrabbondante apparato pratico-operativo (fin da subito particolarmente deficitari mi sono apparsi la distinzione quasi sempre aleatoria tra conoscenze e abilità disciplinari, gli elenchi sciorinati delle medesime conoscenze e abilità disciplinari  presso che invariabilmente pressapochistici, disarmonici, disordinati, a-tassonomici, non esenti da strafalcioni concettuali, dati in lingua spesso priva di lucidità e grossolana)[4].

 

3       Dalle Indicazioni Nazionali 2004 alle Indicazioni per il curricolo 2007

Auspice e propulsore il ministro Fioroni, nel tempo all’incirca di un semestre sono state varate nuove Indicazioni per il curricolo sostitutive (sottovoce, anche per la debolezza giuridica sopra rilevata, in nota) delle Indicazioni Nazionali.

Quali le novità strutturali, concettuali e operative più evidenti riscontrabili nel nuovo documento rispetto al precedente, del quale s’è appena sopra detto qualcosa?

La sostituzione integrale della premessa (passando da un testo con visione a dominanza pedagogica ed esplicito aggancio alla tradizione nazionale – traguardata più con il telescopio che con il microscopio – ad una argomentazione nella quale prevale una fondazione sociologica e culturologica, abbastanza innovativa rispetto alla consuetudine dei programmi didattici italiani[5]).

La configurazione più unitaria, in verticale, del percorso delineato (generata, in particolare, dalla premessa generale, comune ai tre gradi scolastici considerati nelle IC, e dalle premesse disciplinari che sempre, spesso anche forzosamente, mettono in sinergia la primaria e la secondaria di I grado).

     La riassunzione in servizio – tramite recupero di parti sostanziali e anche del linguaggio – dei programmi didattici 1985 della scuola primaria e degli orientamenti per la scuola dell’infanzia del 1991[6].

Il recupero del termine “curricolo” e della rilevante concettualità ad esso sottesa, nonché della carica operativa insita nella impostazione curricolare dei processi formativi.

Lo scorporo dalle Indicazioni dell’apparato strumentale (unità di apprendimento, piano di studio personalizzato, portfolio delle competenze), previsto nelle precedenti Indicazioni[7].

La sordina apportata al collegamento delle indicazioni metodologico-didattiche con il quadro ordinamentale vigente (non è taciuta, da parte degli attuali reggitori della istruzione italiana, l’intenzione di restaurarlo, mutando quanto sancito dai responsabili ai quali sono subentrati. Ma, stante la precarietà dell’attuale quadro politico e l’eventualità che esso presto muti i connotati, non c’è il rischio di restare perennemente a metà del guado e che, in specifico, le IC manchino di legittimanti fondazioni normative e ordinamentali e perciò, inevitabilmente, falliscano?).

La semplificazione dell’impianto metodologico, didattico e disciplinare (un po’ aggrovigliato e ridondante nelle IN, mediante essenzializzazione dello stesso, ora costituito “solo” da finalità, traguardi per lo sviluppo della competenza e obiettivi di apprendimento) e del linguaggio, portato a un livello di comprensibilità espanso, magari anche a prezzo di possibile banalizzazione, in certi passaggi.

L’edulcorazione del testo, “normalizzato”, nel senso di privato di perentorietà, prescrittività, aggressività dispositiva.

 

Quali, invece, i fattori di continuità riscontrabili nelle due Indicazioni?

Il mantenimento del termine Indicazioni ed evidentemente della concettualità ad esso sottesa.

La centralità della persona e la conseguente sollecitazione a porre in campo una didattica attenta alle peculiarità di tutti e di ciascuno.

L’accentuazione conferita all’apprendere ad apprendere (ma trattasi in realtà di ribadimento d’una consapevolezza d’antica data, considerato che la si ritrova già nei programmi didattici della scuola primaria varati nel 1955), più che ai singoli specifici apprendimenti disciplinari.

Svariate formulazioni, per esempio la denominazione di alcune discipline, anche quando magari sarebbe stata opportuna una diversa designazione[8].

L’enfasi posta su obiettivi e competenza (traguardi per lo sviluppo della competenza), a conferma del resto d’un orientamento progettuale ormai consolidato da decenni nella consuetudine didattica della scuola italiana.

L’estensione della proposta operativa, farcita nell’uno e nell’altro testo d’una quantità eccessiva di obiettivi e traguardi, difficilmente conciliabile con i tempi reali della scuola, a scapito dunque dell’essenzialità, che sarebbe stato opportuno perseguire con più spiccate consapevolezza e determinazione.

 

4       Le Indicazioni per il curricolo 2007: punti di forza e criticità

La ricognizione alla quale qui si dà corso è inevitabilmente parziale, come del resto le precedenti di cui il saggio si sostanzia. Alcune caratteristiche a seguire evidenziate, tra l’altro, sono percepibili quali punti di forza e criticità nel contempo, a seconda dell’ottica in cui ci si pone nell’effettuazione dell’analisi.

La cordialità con cui la proposta si offre all’attenzione degli insegnanti, che è probabile si ritrovino facilmente in essa, anche per il largo ricupero di tesi e orientamenti da decenni presenti nella letteratura specialistica e in qualche misura almeno praticati da una percentuale rilevante di docenti.

La fiducia esplicita riposta nella capacità progettuale dei docenti che, nella loro ribadita autonomia organizzativa, didattica, di ricerca e sviluppo, sono così legittimati ad una assunzione critica e personalizzata delle tesi e degli orientamenti operativi di cui le Indicazioni si sostanziano.

L’intenzione fortemente perseguita di procedere sul piano teorico e, conseguentemente, delle pratiche didattiche alla unificazione dei saperi (in particolare alla sutura tra saperi umanistici e saperi scientifici, nella affermata prospettiva di un nuovo umanesimo[9]); tale obiettivo è manifestato in maniera icastica in specie dall’accorpamento delle discipline in tre macroaree multidisciplinari).

 

Il proposito appena evidenziato genera una forte criticità, concernente le tre macroaree “linguistico-artistico-espressiva”, “storico-geografica”, “matematico-scientifico-tecnologica” identificate e ritagliate.

Innanzi tutto, infatti, sono possibili, con uguale pertinenza teorica e operativa, altre, diverse aggregazioni (anche, per dire, si può teoricamente sostenere e giustificare un’area “linguistico-matematica”). Quindi, anche per il motivo appena accennato, nelle aree non sono evidenti le connessioni interdisciplinari (non a caso ho sopra adoperato la locuzione “macroaree multidisciplinari”), da intendersi come evidenziazione non troppo facilmente confutabile delle sinapsi teoriche e funzionali degli statuti epistemologici delle discipline indotte all’apparentamento, nella prospettiva di far agire le stesse in alleanza e integrazione nell’analisi e nell’esplicazione delle fenomenologie del reale.

Anzi, in due casi di attuata convergenza su tre (aree “linguistico-artistico-espressiva” e “matematico-scientifico-tecnologica”) l’unione celebrata risulta non poco problematica.

Per esigenze d’economia del discorso, riverso l’indagine esemplificativa solo sull’area “matematico-scientifico-tecnologica”.

È proprio ovvio ed epistemologicamente fondato il compattamento di matematica (disciplina ipotetico-deduttiva, per eccellenza “astratta”), scienze (come scienze naturali e, ovviamente, sperimentali), l’atteggiamento conoscitivo delle quali è analitico, in quanto determinato a scoprire la natura e il funzionamento dei fenomeni del mondo fisico[10]  e tecnologia, l’orientamento operativo della quale è invece sintetico, vale a dire che essa mira a costruire macchine e strumenti per intervenire nel mondo e modificarlo, in prospettiva di miglioramento o peggiorativa?[11]

Le considerazioni sopra pur solo accennate inducono a manifestare una qualche fiera perplessità circa la pertinenza dell’aggregazione nella medesima area di matematica, scienze naturali e tecnologia.

Ma la critica più consistente è inevitabile muoverla avverso l’innesto del concetto e della sottesa operatività di “area disciplinare”, con la medesima configurazione nella scuola primaria e in quella secondaria di I grado.

Si veda. All’esordio dell’assai vasto capitolo delle Indicazioni intitolato “Discipline e aree disciplinari” viene precisato che “Tutte queste discipline, pur mantenendo un ambito di apprendimento proprio, storicamente e convenzionalmente organizzato intorno a specifici temi e problemi, a metodi e a linguaggi propri, concorrono a definire un’area sovradisciplinare, in cui esse ritrovano una comune matrice antropologica nell’esigenza comunicativa dell’uomo e nell’esplicazione di facoltà uniche e peculiari del pensiero umano”.

Si evince dalla riferita specificazione che si danno in primis  le discipline le quali, per una spiccata loro “comune matrice antropologica”, fan corpo privilegiato con altre, appunto entro la cornice coesiva di un’area. Se la concettualizzazione può ritenersi accettabile per la scuola secondaria di I grado, ove tradizionalmente esistono (pre-esistono) le discipline (in quanto, ciascuna, “ambito di apprendimento proprio, storicamente e convenzionalmente organizzato intorno a specifici temi e problemi, a metodi e a linguaggi propri”) e, oltre che sostanzialmente accettabile, abbastanza valida sul piano operativo (poiché può stimolare i diversi docenti disciplinari a rendere più coerenti i saperi che individualmente propongono nella prospettiva di mettere in risalto l’unitarietà degli stessi), essa non risulta parimenti condivisibile in relazione alla scuola primaria.

Detta scuola, infatti, si è sempre caratterizzata (con maggiore o minore accentuazione di tale specificità) per il suo iniziale approccio formativo pre-disciplinare (prevalente almeno nel suo biennio iniziale) e per un affioramento molto graduale e presso che mai perentorio delle discipline. Sbattere addosso alla primaria l’idea di “area sovradisciplinare” come nelle Indicazioni definita, senza per altro drammatizzare, può generare non poca confusione e incertezza procedurale.

Il rischio che a questo proposito le Indicazioni 2007 corrono è, sul versante degli operatori di scuola primaria, la constatazione di una secondarizzazione della stessa. Al contrario, dal versante degli operatori di scuola secondaria di I grado, promana il rilievo di appiattimento del loro tipo di scuola sulle specificità strutturali e operative della primaria (per attenuazione tattica delle peculiarità differenziatrici, intenzionalmente volendosi accentuare la processualità molto graduale, letta, al proposito, come sostanziale sovrapposizione immobilizzante).

 

Dopo l’indugio abbastanza protratto sulla criticità insita nell’adozione del “paradigma” area disciplinare, do corso ancora alla focalizzazione di due problematicità, prima di porre termine all’analisi attivata.

Le Indicazioni in questione sono formate da due capitoli “Cultura scuola persona” e “L’organizzazione del curricolo”.

Pur non esenti da difetti e improprietà che con esegesi puntigliosa e qui non opportuna si potrebbero senza troppo difficoltà rilevare, sono entrambi documenti dignitosi e largamente condivisibili.

Sembra però (comparandone la concettualità, gli orientamenti operativi e il linguaggio) che essi siano creature di padri e madri diverse, concepite in reciproca ignoranza dell’altra, poi maritate un po’ forzosamente, malgrado un’empatia tra di loro non proprio spiccatissima.

Nella tradizione dei programmi didattici italiani (mi riferisco, in specifico, a quelli della primaria del 1955 e del 1985 ed anche alle Indicazioni 2004) la premessa irradia lo spirito della proposta programmatica che si riversa, a fecondazione, sulla parte metodologico-didattica che delle ragioni della premessa s’impregna concretizzandole.

Qui si direbbe che l’impollinazione non sia avvenuta e che i due segmenti sussistano sostanzialmente ignorandosi.

S’è dianzi detto che queste Indicazioni richiamano in servizio attivo i già archiviati programmi della secondaria di I grado del 1979 e della primaria del 1985, oltre che gli orientamenti per la scuola dell’infanzia del 1991. Tale esplicito “ritorno al passato” può d’un canto essere valorizzato quale punto di forza, poiché confida sull’agevole riconoscimento della proposta messa a disposizione da parte dei docenti.

Non si può però, d’altro canto, escludere che gli stessi s’accostino alla “ribollita” percependola come sostanziale deja vu, minestra riscaldata non proprio prelibata anche se in sé decorosamente gustosa, agevole comunque da assumere e digerire, non dunque particolarmente impegnativa – fuor di metafora culinaria – sul piano della riflessione critica, della metabolizzazione culturale e dell’investimento applicativo[12].

 

5        Un auspicio per epilogo, a congedo

Durante il quinquennio di governo della scuola esercitato da Letizia Moratti, è avvenuto con enorme frequenza che miriadi di insegnanti, dirigenti e altri soggetti cointeressati, nei riguardi della riforma dalla medesima messa in campo, si siano posti mescolando costantemente la loro appartenenza politica e l’apprezzamento professionale delle novità introdotte, reputate negative o, più raramente, positive, pregiudizialmente, per “partito preso”, spesso senza darsi neppure la briga di sottoporre le proposte rigettate o assecondate a lettura e tanto meno a ricognizione critica rigorosa.

Tale malcostume è stato deleterio per il buon funzionamento delle istituzioni scolastiche, incentivando in esse l’inclinazione al ribellismo, alla contestazione endemica, alla contrapposizione ideologica in quanto tale senza sfumature e razionali distinzioni.

Nella vigente, delicata circostanza di proposta da parte dell’amministrazione scolastica centrale di un nuovo documento orientativo delle pratiche didattiche, offerto come sperimentale e suscettibile di revisioni con l’apporto determinante degli operatori scolastici entro il “cantiere aperto” previsto per una estensione biennale, sarebbe estremamente opportuno e indice di maturità umana e culturale che tutti i cointeressati scindessero (facessero fenomenologicamente epoché) la loro propensione politica e ideologica dall’approccio professionale a questo testo delle Indicazioni, rapportandosi allo stesso con atteggiamento e strumentazioni esclusivamente culturali e tecnici.

Purtroppo i segnali promananti da politici, amministratori e altri soggetti al proposito non appaiono al momento proprio incoraggianti (si considerino, per esemplificare, le constatazioni soddisfatte di “stare demolendo la Moratti”, oppure di avere finalmente espunto – grazie alle nuove Indicazioni – le tre famigerate I  (a dire il vero mai menzionate, in cinque anni di governo di Letizia Moratti, in ambito ministeriale, facenti parte, come elemento propagandistico tra tanti, della campagna elettorale di Forza Italia).

Quale rischio colossale, infatti, si corre, pigiando il pedale della prevalenza politica e ideologica (quantitativamente esigua e qualitativamente precaria, tra l’altro), dell’azzeramento dichiarato salvifico delle soluzioni messe in scena dallo schieramento ora all’opposizione e fino a due anni fa al comando?

Il pericolo che detto schieramento, riconquistato il potere (come al momento presagibile da svariati indizi), sia animato dallo spirito di rivalsa, dalla smania di rendere “pan per focaccia” e, quindi, butti nel bidone della spazzatura i mutamenti introdotti dall’attuale governo (comprese le “Indicazioni per il curricolo”), per riprendere il percorso riformistico da zero, entro un processo di decomposizione e ritessitura della tela di Penelope, sterile, frustrante e oltremodo pernicioso per il prestigio e la residua qualità del sistema scolastico nazionale.

 

 

 


 


[1] Va evidenziata la sperimentalità del documento qui discusso, derivante anche dalla sua debole configurazione giuridica. A rigore, infatti, essendo supportato da un decreto ministeriale (il DM 31 luglio 2007) esso non ha la forza normativa necessaria per sostituire in toto le IN che, pur dichiarate transitorie, sono tuttavia allegate a un decreto legislativo (D.Lvo n. 59 del 19 febbraio 2004), in quanto tale prevalente in base alla gerarchia delle fonti giuridiche. Ma la debolezza istituzionale delle IC, se si accentua e valorizza la loro funzione strumentale e orientativa delle prassi che sono nella responsabilità delle scuole autonome, si può anche rovesciare in punto di forza culturale e operativo.

[2] Ritengo, l’ho scritto in svariati interventi, frettolosa e improvvida l’espunzione violenta del proposito di attribuire a un docente del gruppo operativo in ogni classe funzioni specifiche, tra le quali quella di tutorato degli alunni. Al momento gli insegnanti (dopo quello che considero un ingiustificato cedimento alle pressioni emotive della piazza) sono tornati todos caballeros: ma agli allievi, in specie a quelli bisognosi di particolare attenzione, chi pensa e provvede, autenticamente?

[3] Per un paio d’anni e anche oltre miriadi di docenti, desiderosi di comprendere e animati da volontà di attenersi agli enigmatici desiderata della norma, si sono puntigliosamente confrontati, con l’ansia di portare vivaddio a chiarezza se i frustranti obiettivi formativi fossero da intendersi come descrittivi di macrocompetenze cognitive oppure di ambiti ristretti di conoscenze e abilità: malgrado gli sforzi non si è, per lo più, riusciti a cavare un ragno dal buco e il dilemma è rimasto sostanzialmente irrisolto.

[4] Ribadisco il mio sconcertato stupore per l’inerzia del ministero Moratti che, pur avvertito e consapevole della qualità tutt’altro che ottimale delle IN, malgrado l’intenzione formulata e resa pubblica, in due anni di tempo utile non ha provveduto alla riscrittura del documento.

[5] La nuova premessa è intrisa delle tesi culturologiche, sociologiche e anche, in senso lato, pedagogiche del pensatore francese Edgar Morin, oltre che condizionata dal suo linguaggio non di rado icastico, connotato da forte idiosincrasia espressiva. Non è la prima volta che uno studioso d’oltralpe condiziona i testi programmatici della scuola italiana: si ponga mente all’influenza esercitata da Jacques Maritain sui programmi didattici 1955 della scuola primaria. Morin, d’altronde, non era estraneo neppure alle precedenti IN: si rammenti, di esse, il reiterato concetto di ologramma, del quale lo studioso francese è padre. 

[6] È per via dell’esplicito – e dichiarato – “ritorno al passato” che nel titolo del saggio ho incluso la locuzione elogio della “ribollita”. Nessuna intenzione denigratoria nella designazione, ma soltanto una spruzzata di sorridente ironia. Come si sa, la ribollita è un piatto tipico della gastronomia toscana, risalente alla civiltà contadina, quando “non si buttava via niente”, fatto di avanzi (verdure per lo più), con aggiunta di pane raffermo e di olio d’oliva. La ribollita, come le IC, non è sicuramente un piatto sontuoso e memorabile: ma se gli avanzi con cui è stato confezionato non sono proprio deteriorati, esso è nutriente, e anche gustoso.

[7] Il silenzio totale in argomento delle IC significa affidamento di ogni responsabilità circa la configurazione e gli strumenti della progettazione e le modalità della documentazione alle istituzioni scolastiche e ai docenti, con forte presupposizione in merito alla funzionalità operativa del POF. Va bene, ma almeno tre evenienze di segno negativo incombono: l’eventualità che il POF sia in molte realtà documento ormai frusto, con scarsa e solo rituale potenzialità operativa, l’espunzione da parte di docenti non troppo motivati di ogni strumentazione progettuale e documentaria dal novero delle proprie pratiche, l’illegibilità trasversale di dette documentazioni per mancanza di riferimenti comuni nella messa a punto.

[8] Dico, per esemplificare in argomento, della strana locuzione, mantenuta, per designare l’educazione all’immagine, Arte e immagine. A parte la faciloneria insita nell’uso alla grossa del connotatore “arte”, che meglio sarebbe non disturbare in una circostanza come questa delle IN e delle IC, essendo lo stesso carico di problematicità epistemologica, quale la ragione del suo abbinamento forzato all’immagine e non, che so, alla musica, che con il medesimo intrattiene relazioni funzionali di sicuro non molto dissimili da quelle proprie dell’immagine?

[9] Il riferimento epistemologico è, ancora, alle concettualizzazioni in argomento di E. Morin. Di tale autore si considerino, al proposito, La testa ben fattariforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina editore, 2000 e I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina editore, 2001.

[10] Contrariamente a quanto si asserisce la scienza, come conoscenza e comprensione dei fenomeni del mondo fisico, non ha un’etica né orientativa né di freno, poiché, appunto, il suo compito è di svelare la natura ancora arcana dei fenomeni del mondo fisico, evidenziandoli nelle loro specificità, siano esse coerenti o in distonia rispetto alle weltanschauung dominanti, senza prefiggersi di intervenire per modificarli.

[11] La tecnologia, così differenziandosi dalla scienza in senso vero e proprio, impatta subito e sempre in problemi etici, perché, evidentemente non tutte le modificazioni della “natura” possibili sono lecite. Per esemplificare: lo scienziato che scopre e teorizza la configurazione dell’atomo e il suo funzionamento compie impresa meritoria in quanto allarga i confini della umana conoscenza. Il tecnologo, invece, il quale sulla base delle conoscenze apportate dallo scienziato costruisce la bomba atomica in quanto tale destinata a stermini di massa, non può non sottoporre il suo operato ad angosciosi interrogativi appunto etici).

[12] Il ministro in carica, fin dall’esordio del suo mandato, ha sempre dichiarato che non intende porre mano a un ulteriore tentativo di riforma sistemica degli ordinamenti scolastici, dopo quelli – sostanzialmente falliti – dei suoi predecessori Berlinguer-De Mauro e Moratti. Personalmente avanzo riserve circa la funzionalità di siffatta scelta (pur riconoscendo che nell’attuale contingenza politica connotata da precarietà e provvisorietà la realizzazione di una riforma epocale è prospettiva presso che chimerica): perché un sistema scolastico a detta di quasi tutti affetto da esiziali patologie non può tornare a salute se non aggredito con una “cura da cavallo”. Ma metto subito tra parentesi siffatta problematica, per rilevare, invece, che le Indicazioni qui discusse, escluse l’idea e l’intenzione di una riforma sistemica (in termini mutuati dallo storico della scienza ed epistemologo Thomas Kuhn accantonata l’eventualità di un mutamento di paradigma) si collocano entro quella che sempre Kuhn definisce scienza normale, ovvero sia lavoro di assestamento entro coordinate note e collaudate (cioè a dire il vecchio paradigma quasi sempre gravato da acciacchi teorici e inettitudine operativa), rifinitura di particolari, restauro di parti, rabbercio di quanto minaccia o è sul punto di crollare. L’attività entro la scienza normale non comporta fatiche intellettuali stressanti e avvaloranti e rassicura circa la sensatezza delle proprie minuscole operazioni: ma non favorisce o innesca colpi d’ala, slanci inebrianti della mente, è materia per gente di piccolo calibro. Quale, probabilmente, tutti noi siamo, mascheranti la diffusa indifferenza per autentiche “magnifiche sorti e progressive” sotto la patina del chiacchiericcio e dell’urlio mediatici.