Luciano Lelli è nato a Medicina (Bologna) il 9 giugno 1942, da Arnaldo e Elvira Sangiorgi, braccianti agricoli nullatenenti. Della prima infanzia conserva vaghi ricordi fiabeschi, connessi all'evento tragico e grandioso della seconda guerra mondiale.
Nel 1948, forse per la difficoltà nel sostenere le spese d'affitto del modesto appartamento occupato nei pressi dell'ospedale del paese, la famiglia Lelli (oltre ai genitori e a Luciano una sorella, Teresa Guerrini, figlia di primo letto di Elvira Sangiorgi, e Aldo, fratello nato tre anni dopo Luciano) si è trasferita in una casona isolata e cadente a 6 chilometri da Medicina, dove è rimasta per 12 anni, fino al 1960; nei primi anni nel vasto edificio dimoravano diverse altre persone, che man mano si sono trasferite altrove, sicché i Lelli sono rimasti i soli abitanti di quel luogo, attorniato dalle ultime risaie della pianura bolognese. Di quel lungo periodo, seconda infanzia, intera adolescenza, prima giovinezza, Luciano Lelli ricorda la solitudine, tutto considerato assaporata, nell'isolamento della campagna, le fantasticherie, i giochi prevalentemente senza compagni, le escursioni nelle valli e lungo torrenti e fossi per partite di pesca quasi sempre copiosissima, le fascinose letture di libri avuti in prestito, in estate appoggiato all'ombra contro il muro della grande casa. Ha in mente anche, indelebile, il fastidio che comportava, durante i mesi della cattiva stagione, la necessità di abbandonare, a circa un chilometro dall'abitazione, la bicicletta - mezzo abituale di locomozione - perché l'ultimo tratto di tragitto era di mero tratturo, impraticabile con quel mezzo quando la pioggia o la neve lo rendevano fangoso. La famiglia Lelli era costretta a scarpinare, calzati gli stivali, gravata da sporte e sacchi, sopra l'erba e affondando nella melma, per un tragitto di diverse centinaia di metri. Per tutto quel tempo il sogno che più tenacemente Luciano Lelli ha coltivato è stato che, per decisione politica che mai fu presa, venisse costruita, da casa sua alla strada comunale asfaltata, per rendere d'inverno meno disagevole la vita a lui e ai familiari, almeno una stradicciola bianca, con fondo di sassi e ghiaia.
Frequentati i primi quattro anni di scuola elementare a Bologna Nuova, una località a un paio di chilometri dalla sua residenza e il quinto a Ganzanigo, una frazione contigua a Medicina, presso che unico della sua classe di ragazzi tutti d'estrazione contadina e bracciantile, Luciano Lelli ha proseguito gli studi a Medicina, nella locale scuola media, con risultati prima discreti poi buoni, pur non essendo il suo livello d'impegno spasmodico, anche perché distratto da svariate, più allettanti attrazioni (soprattutto faticava nell'elaborazione delle prove scritte di italiano, per angustia di lessico e carenza di dimestichezza con la lingua nazionale, essendo cresciuto in ambiente familiare e sociale esclusivamente dialettofono).
Finite le medie era destinato ad avviare una qualche attività lavorativa, non essendo la sua famiglia in grado di mandarlo a scuola alle superiori a Bologna: ha mutato tale svolta naturale la sua maestra di quinta elementare, Odilla Veronesi, che lo aveva particolarmente seguito e incitato da quando, spaesato campagnolo, era stato incluso nella sua classe, e si era messa in contatto, chissà per quali vie ed aderendo a quali opportunità, con la rivista magistrale "Scuola Italiana Moderna", per segnalare con toni appassionati ed accorati un ragazzo di grandi doti intellettuali, con vocazione spiccata per la professione magistrale e piissimo (la cara signora esagerava e inventava, tutta concentrata sullo scopo che si prefiggeva) il quale era costretto a interrompere gli studi dilettissimi per lavorare in campagna, non essendo la sua famiglia in grado di farlo proseguire con la scuola.
Quel forte messaggio ha quasi incredibilmente generato l'esito sperato: in settembre 1956 Luciano Lelli è stato chiamato a Brescia, è riuscito a convincere, chissà mai come e perché, che effettivamente le circostanze rappresentate dalla maestra Veronesi corrispondevano a realtà ed è stato accolto nella sua residenza, all'interno della sede della Casa Editrice La Scuola, da Vittorino Chizzolini, figura di straordinario spessore intellettuale, morale e religioso, del quale, venuto a mancare nel 1984, è stato avviato alcuni anni fa il processo di canonizzazione che certamente lo porterà, come si dice, all'onore degli altari.
In casa di Chizzolini ha vissuto un anno, mentre frequentava la prima classe dell'istituto magistrale Veronica Gambara. Facevano parte del gruppo familiare anche una suora orsolina, Lina Dusi, governante di Chizzolini, donna di squisita sensibilità morale e di intenso afflato religioso, che di recente ha completato la sua giornata terrena, e Gualtiero Laeng, geografo, scopritore dei graffiti preistorici della Valcamonica, padre di Mauro, già allora sulla via della fama come pedagogista, poi suo professore in quarta magistrale. Capitava di frequente che alla mensa di Chizzolini sedessero ospiti, intellettuali cattolici in visita alla Casa Editrice o all'eminente personaggio suo benefattore: se ne ricordano due, tra i più assidui, Mario Casotti (principe dei pedagogisti cattolici, del quale Chizzolini rammentava spesso il percorso culturale e spirituale, dalla sequela di Giovanni Gentile e del suo attualismo idealistico alla conversione al cattolicesimo e all'adesione alla philosophia perennis di San Tommaso d'Aquino, alla compartecipazione, sul versante della pedagogia, all'edificazione del sistema di pensiero denominato Neotomismo), e Angelo Colombo, uomo di imponente corporatura e trascinante simpatia, letterato e organizzatore culturale, maestro dei giovani maestri in specie come direttore e animatore di convegni pedagogici estivi, aderente in gioventù al movimento letterario espressosi nella rivista La Voce, che attrasse la stima e l'ammirazione anche di Giuseppe Prezzolini, pure da lui lontano per le scelte ideali e ideologiche, per via della sua dirittura morale e della luminosa levità dello stile letterario.
Dal suo secondo anno scolastico a Brescia, 1957/58, fino alla conclusione degli studi secondari e al conseguimento dell'abilitazione magistrale nel 1960, Luciano Lelli ha vissuto in una comunità di giovani, tutti frequentanti l'istituto magistrale Veronica Gambara, provenienti da diverse regioni d'Italia e di condizione socio-economica analoga alla sua, di cui egli è stato per così dire il capostipite, comunità intitolata a Giuseppe Tovini, l'uomo politico, animatore culturale e sociale bresciano di ardente fede cattolica di recente innalzato all'onore degli altari col titolo di beato. L'eteroclito gruppo di studenti accolto dalla Fondazione Tovini viveva e studiava in locali annessi alla parrocchia dei santi Faustino e Giovita, patroni della città di Brescia, grazie alla generosa ospitalità concessa dal parroco monsignor Luigi Daffini. Di quei tre anni Luciano Lelli, a distanza di decenni, conserva ricordi importanti ed indelebili: di personaggi frequentati, esperienze compiute, sogni, desideri ed aspirazioni coltivati.
Tra i personaggi in quella circostanza frequentati, la menzione principale non può non essere attribuita
ancora a Vittorino Chizzolini, dei giovani accolti nella comunità benefattore,
guida spirituale, orientatore culturale, esempio di vita di eminentissima tempra
etica, intrisa da fede e spessore religiosi trascendenti a distanza siderale gli
stili di convinzione e comportamento di tutte le persone allora viventi ed
operanti in quell'ambiente indubbiamente eletto, per fermezza e coerenza degli
ideali e dei sentimenti religiosi e morali diffusamente professati e praticati,
ascrivibili a una concezione "giansenista" dell'esistenza.
Non è agevole la caratterizzazione, in stringate battute, di un personaggio
della levatura umana e culturale di Vittorino Chizzolini: qui si annota soltanto
qualche osservazione concernente la sua relazione di paternità spirituale con
Luciano Lelli. Costui, nel frastornamento dei suoi anni adolescenziali, anche
accentuato dall'avulsione dal suo milieu precedente di vita e di esperienze,
confusamente avvertiva la grandezza dell'uomo che quotidianamente lo sollecitava
al bene, al vero e al bello e si sforzava di adeguarsi alle sue richieste ed
aspettative; con tanta fatica però e ricorrendo ad astuzie e finzioni
(avvertiva infatti con tutta chiarezza ed evidenza che, se la sua corresponsione
alle attese in lui riposte fosse stata e rimasta troppo approssimativa e
deludente, egli sarebbe stato escluso dalla situazione esistenziale per molti
aspetti privilegiata in cui era stato cooptato: non già che si sentisse colà
beato come in paradiso e desideroso ad ogni costo di permanervi; senza ombra di
dubbio percepiva però che l'allontanamento sarebbe stato per lui fonte di
fastidi ed imbarazzi).
Due erano i connotati di Luciano Lelli che gli rendevano
alquanto problematica la sintonia con Vittorino Chizzolini: una predisposizione
agli studi in generale e per quelli magistrali in particolare non proprio
eminentissima, sormontata nettamente da altre aspirazioni e divergenti desideri
e, soprattutto, una adesione alla fede cattolica assolutamente superficiale e di
convenienza, per nulla affatto promanante da genuinità e profondità di fede
religiosa. Con ogni probabilità Vittorino Chizzolini, con la sua innata ed
assiduamente coltivata sapientia cordis, riusciva a leggere i comportamenti di
Luciano Lelli oltre la facciata delle asserzioni verbali e dei gesti: ha, forse,
insistito per quattro anni nel magistero a favore del suo tiepido allievo non
disperando, malgrado le prospettive realisticamente non proprio incoraggianti,
che lo stesso compisse prima o poi un salto di qualità, assecondasse con
autenticità di sentimento e viva pulsione della volontà le speranze in lui
riposte (di consacrazione di se stesso a un doppio apostolato, quale cultore e
diffusore della fede cattolica e propugnatore dei connessi ideali e valori come
maestro di fanciulli e di giovani).
Di un secondo personaggio, assiduamente frequentato in quegli anni bresciani,
Luciano Lelli conserva ancora, a distanza di decenni, vivida e grata memoria,
Giacomo Pifferetti. Era un sacerdote, appartenente all'ordine dei Filippini.
Viveva e praticava la sua alta missione all'interno di una abbastanza folta
comunità di padri seguaci di San Filippo Neri, presso la chiesa di Santa Maria
della Pace, allora, e forse oggi ancora, centro primario di spiritualità e di
educazione della più eletta gioventù a Brescia, mediatore di ciò il celebre
oratorio, in cui folte schiere di bambini, ragazzi e giovani trascorrevano ore
ed ore ogni giorno.
Il padre Pifferetti si è fatto inizialmente conoscere da Luciano Lelli
- dopo che Odilla Veronesi aveva segnalato a "Scuola Italiana Moderna"
l'esistenza e le "preclare" doti del giovine - tramite una serie abbastanza
fitta di missive epistolari al ragazzo che frequentava allora il terzo anno
di scuola media a Medicina: erano messaggi molto affettuosi in cui il sacerdote,
che si firmava Zio Giovanni, rivolgeva all'ignoto e perplesso corrispondente
consigli, ammonimenti e incitamenti a camminare con ogni determinazione lungo
l'arduo sentiero della virtù, dell'impegno alto e rigoroso nei doveri
dell'esistenza, del bene, da intendersi principalmente come apertura agli altri
e generosità nel soccorrere i meno privilegiati di lui (tra l'altro,
non riusciva per nulla ad intendere per quali segni lui potesse essere considerato
un prediletto della buona sorte).
Quando poi Luciano Lelli ha incontrato di persona il padre Pifferetti a Brescia,
osservandone l'espressione intensa, assorta e scrutatrice e fruendo dei suoi
discorsi nel contempo affabili, essenziali e bruschi nella loro inflessione
comunicativa, ha avuto coscienza netta di trovarsi al cospetto d'una persona
invero eccezionale, per l'afflato religioso che l'animava, la vocazione educativa
che esplicitava, lo spirito di dedizione che tutto l'intrideva.
Formidabile conoscitore delle inclinazioni e delle aspirazioni dei giovani,
egli di certo più di ogni altro ha intuito che Luciano Lelli non era
sorretto né da fede religiosa autentica né da qualcosa che si
potesse assimilare a una passione veritiera per l'educazione dei fanciulli:
non per questo tuttavia l'ha reputato da rigettare in quanto alieno alla causa
che nell'ambiente di "Scuola Italiana Moderna" si perseguiva e ne
ha favorito, con discrezione e costanza, l'intera esperienza di studio e formazione
a Brescia, fino alla sua conclusione, nel 1960.
Conseguito il diploma di abilitazione magistrale, Luciano Lelli avrebbe
potuto protrarre la sua permanenza a Brescia, nell'ambiente della Scuola Editrice:
se avesse voluto assecondarlo il suo destino era in certa misura già
con nettezza tracciato. Poiché manifestava una almeno epidermica predilezione
per gli studi letterari rispetto a quelli pedagogici, egli avrebbe avuto l'opportunità,
frequentando l'Università Cattolica di Milano, di laurearsi in materie
letterarie quindi, se avesse effettivamente dimostrato attitudine a coltivare
tale ambito di studi, sarebbe stato aiutato a intraprendere la carriera di professore
universitario, nella Facoltà di Magistero della Cattolica che proprio
allora era in procinto d'essere istituita a Brescia.
Ma la prospettiva, seppure in sé non poco allettante, non lo entusiasmava
e, dopo un lasso di permanenza nel dubbio, l'ha declinata. Desiderava infatti,
spasmodicamente, assaporare esperienze, sperimentare stili di vita diversi,
conoscere e frequentare persone interessanti, soprattutto donne: intuiva che
tale sua aspirazione nell'ambiente bresciano - che richiedeva per non venire
emarginati ed espulsi un ferreo controllo delle proprie pulsioni contrastanti
con i fondamenti etici ivi con applicazione oltremodo coerente professati (e,
se risoluti a godere comunque i vantaggi di tale collocazione senza assecondarne
fino in fondo gli orientamenti comportamentali, una attitudine spiccata al camuffamento
e alla contraffazione di sé, nel simulare una adesione all'ideologia di
quel contesto spontanea e fervida) - non avrebbe avuto quasi per nulla opportunità
di esplicarsi.
Luciano Lelli ha dunque optato per il ritorno definitivo in famiglia. Non però nell'ambiente fisico e sociale in cui era nato ed aveva trascorso l'infanzia e l'adolescenza, bensì a Bologna, in città, ove i suoi genitori, in prima istanza proprio per favorirne la prosecuzione degli studi e la coltivazione di occasioni che di certo gli sarebbero state precluse a Medicina, avevano deciso di trasferirsi, affrontando un passo per loro, braccianti agricoli legati biologicamente ed intellettualmente alla terra, traumatico e lacerante; di tale coraggiosa determinazione egli sarà sempre grato ai suoi genitori, fino a che una stilla di coscienza lo animerà.
Da quel remoto 1960 svariate decine d'anni sono inesorabilmente transitate
per Luciano Lelli, farcite d'eventi minimi dei quali non vale quasi la pena
di lasciare traccia, con lo stesso perennemente all'inseguimento di una metanoia
integrale che mai tuttavia è intervenuta a renderne memorabile ed eccezionale
l'esistenza. Ha quasi subito conosciuto, nella sede bolognese dei "Maestri
cattolici", che per un breve lasso di tempo ha frequentato, una maestra
di scuola materna, Emma Avoni, alla quale s'è legato sentimentalmente,
fino al matrimonio con lei nel 1965, dalla quale ha avuto un figlio, Emanuele,
nel 1968. Iscrittosi al corso di laurea in Materie Letterarie dell'Università
di Bologna, ha stentatamente gestito gli studi universitari, per un mostruoso
periodo non sostenendo neppure un esame. Si è comunque laureato, dopo
una protratta permanenza fuori corso, il 7 marzo del 1972, discutendo una tesi
su "Il mito tra antropologia ed estetica", relatore della stessa essendo
il professore Renato Barilli.
Costretto dalle necessità esistenziali, Luciano Lelli ha quasi
subito iniziato l'insegnamento nella scuola elementare, nei ruoli di tale ordine
scolastico dal 1964, dopo aver sorprendentemente vinto il concorso magistrale.
Come maestro ha operato fino al 1973, ritiene con decorosa diligenza professionale
e risultati d'apprendimento degli alunni di non infima qualità, anche
se non animato - come sopra messo in evidenza - da autentica vocazione educativa.
In ottobre 1973, rapidamente conseguita la prescritta abilitazione, è
passato all'insegnamento nella scuola secondaria superiore, prima in un istituto
tecnico poi in uno professionale in città, quale docente di lingua e
letteratura italiana e di storia. Nel medesimo periodo ha vissuto una minima
esperienza di insegnamento universitario, come incaricato di esercitazioni presso
la cattedra di estetica, tenuta in successione dai professori Barilli, Scolari
e Nanni. Avrebbe avuto le doti e l'interesse per insistere in siffatta prospettiva:
invece ha desistito, perché non era più ventenne e la retribuzione
che gli sarebbe stata assegnata nei primi tempi, come borsista quindi ricercatore,
sarebbe stata di molto inferire a quella, pur modestissima, che percepiva quale
professore di ruolo.
Nel 1976 è tornato ad impegnarsi nella scuola elementare, alla quale evidentemente lo avvince un legame non snodabile, in barba al feeling personale non proprio spiccatissimo: come direttore didattico, carica alla quale era pervenuto quasi casualmente, avendo affrontato la prova di concorso apposita per accedere a siffatta mansione addirittura nell'incertezza circa il possesso dei prescritti requisiti giuridici, senza alcuna preparazione specifica ed approfondita. Iniziato tale nuovo lavoro a Castel Maggiore presso Bologna, ha avuto subito l'impressione d'essere incappato in uno sbaglio cosmico, optando per la direzione di un circolo didattico in luogo dell'insegnamento di letteratura italiana e storia, a ciò indotto esclusivamente dalla lievitazione degli emolumenti economici, risultandogli palese fin dal primo giorno di non essere per nulla adatto all'assolvimento delle svariate incombenze peculiari di un direttore di scuole e che l'assorbimento nella marea delle sue nuove spesso estenuanti attribuzioni lo avrebbe del tutto e definitivamente distolto dal perseguimento di un alto, ferreo e costante impegno nella produzione e negli studi letterari, tensione del resto anche in precedenza più vagheggiata che effettivamente esercitata con la pienezza di dedizione che egli avrebbe virtualmente preteso da se stesso.
Luciano Lelli ha svolto la professione di direttore didattico per sei anni, fino al 1984, pervenendo progressivamente a un coinvolgimento sempre più pervasivo nelle problematiche della direzione di scuole - anche sul versante sindacale - e in quelle organizzative e metodologico-didattiche della scuola primaria. Tale immersione l'ha spinto ad occuparsi degli argomenti menzionati anche sul versante pubblicistico, mediante una intensa produzione di articoli e saggi in riviste (L'Educatore, La Scuola SE, Innovazione Educativa, I diritti della scuola, La vita scolastica, per menzionare solo quelle nelle quali più intensamente ha scritto) e in volumi, collettanei e a suo nome. In questo sito Internet è consultabile la sua amplissima bibliografia, presso che integrale. Nei primi anni Ottanta svariati contributi su riviste li ha redatti assieme a Rita Bonfiglioli, docente del circolo didattico di Castel Maggiore poi dirittrice e ispettrice, con la quale è stato, per alcuni anni, in fervido sodalizio intellettuale, immaturamente scomparsa nel 1996 stroncata da un male incurabile.
Il 7 ottobre 1982 Luciano Lelli ha incontrato Rosanna Rinaldi, bellissima maestra ventiquattrenne, eletta non soltanto per doti di corpo ma anche, soprattutto è pertinente affermare, per eminenza delle doti morali ed intellettuali. Con lei, venuta presso il II circolo di Bologna per occupare la cattedra assegnatale di insegnamento, la sintonia è stata fulminea e integrale, dapprima sul piano intellettuale e professionale, quindi, progressivamente, su quello emotivo ed esistenziale. A quattro mani con lei Luciano Lelli ha scritto articoli, saggi, volumi, concernenti la didattica della lingua italiana e la progettazione del lavoro scolastico.
Nel 1984 Luciano Lelli ha di fatto posto fine alla sua professione di direttore didattico, essendo passato ad operare quale tecnico presso l'IRRSAE dell'Emilia-Romagna, vinto il concorso per accedere a detto istituto. La sua attività più significativa entro l'istituto regionale di ricerca e sperimentazione educative è stata il coordinamento di tutte le operazioni concernenti il PPANPSE (Piano poliennale di aggiornamento sui nuovi programmi della scuola elementare) in Emilia-Romagna, una vastissima azione di formazione dei docenti elementari della Regione appunto sui programmi didattici varati nel 1985, valutata dal CERI (OCSE) la più rilevante e riuscita iniziativa di formazione di massa di docenti mai realizzata in Europa Occidentale. Nel medesimo anno, 1984, è avvenuto il suo primo approccio al personal computer, ad interessarsi di tale strumento (che in un primo momento aveva reputato del tutto estraneo rispetto ai suoi interessi culturali) indotto dalla passione per esso del figlio adolescente Emanuele, divenuto poi un rinomato esperto professionale di computers e di tutta la rivoluzione tecnologica e culturale da tali macchine suscitata. Per anni Luciano Lelli si è avvalso del computer esclusivamente come strumento di videoscrittura. A far tempo dal 1995, all'incirca, ha preso ad occuparsi, essendo in lui all'improvviso scattata una strana ed imprevedibile pulsione adesiva per siffatta problematica, sempre più intensamente di elettronica, informatica, telematica e multimedialità, pervenendo a fare di tali materie l'oggetto prevalente della sua attuale attività professionale.
Nel 1987 Luciano Lelli ha cambiato per l'ennesima volta professione, pur per altro permanendo sempre entro il campo operativo della pubblica istruzione: ciò a seguito di superamento del concorso a ispettore tecnico, essendo riuscito, malgrado la sempre attenuata adesione vocazionale per le problematiche formative e le connesse implicazioni pedagogiche, metodologico-didattiche, organizzative e giuridiche, a centrare positivamente ben quattro prove di selezione, tre scritte ed una orale. Come ispettore ha operato per alcuni anni presso il provveditorato agli studi di Modena, quindi presso quello di Bologna e successivamente a livello regionale, nell'ambito della Sovrintendenza Scolastica Regionale per l'Emilia-Romagna, da poco più d'un anno (2001) divenuta, a seguito della vasta riforma organizzativa che ha investito gli organismi centrali e periferici della pubblica istruzione, Ufficio Scolastico Regionale sede della Direzione Generale delle istituzioni scolastiche autonome dell'Emilia-Romagna. Attualmente (2002) opera anche presso il Centro Servizi Amministrativi di Ferrara, città alla quale l'avvince un vivido feeling emotivo, quale responsabile dell'Unità Operativa Provinciale per il sostegno e il supporto all'autonomia scolastica.
Il 6 marzo 1993, all'età di oltre 87 anni, ha cessato di vivere suo padre Arnaldo, dopo oltre un decennio di tribolazione fisica devastante, provocatagli da incessante fastidio a un piede che nessun medico è mai riuscito a diagnosticare con esattezza e conseguentemente a curare, che egli ha tentato di contrastare con una serie infinita di stravaganti e tutte sterili terapie, dal quale è stato costretto a trascorrere gran parte del suo tempo di senilità intento a massaggiare e manipolare quel suo piede divenuto oggetto primario e presso che esclusivo della sua attenzione esistenziale. Lungo l'intero desolato arco di vita in cui detto malanno ha assorbito il padre suo, Luciano Lelli, assiduo in visite, assistenza e tentativi di consolazione, non è mai riuscito a rilevare se l'origine della sciagurata sofferenza fosse di natura corporea od ascrivibile invece a un lancinante tormento psichico.
Nel mese di giugno 1994 era pervenuto a un livello di sfacelo irreversibile e per entrambi pericoloso la relazione coniugale di Luciano Lelli con sua moglie Emma Avoni e contestualmente appariva ineludibile la necessità di proiettare nella luce l'affinità elettiva fermentante dall'istante del primo incontro con Rosanna Rinaldi, donna totale della sua esistenza: reperito, grazie all'iniziativa della sua diletta, un appartamento affittabile in via Valle d'Aosta 28 in Bologna, si risolveva infine al passo della recisione della sua precedente storia familiare, la sera del 4 luglio, mentre in città fervevano esagitati festeggiamenti per la vittoria, a conclusione del girone propedeutico dei campionati mondiali di calcio, della nazionale italiana su quella nigeriana. Il 30 luglio, dopo un intero mese trascorso in frenetiche azioni per rendere abitabile l'appartamento, Luciano Lelli e Rosanna Rinaldi celebravano l'evento gaudioso dell'inizio della loro convivenza, perfezionata quattro anni dopo, il 27 dicembre 1998, dal suggello del matrimonio, con rito civile ovviamente, sciolti tramite divorzio i vincoli in precedenza da entrambi contratti. Tre giorni dopo, il 30 dicembre, i due sposi novelli hanno abbandonato la dimora di via Valle d'Aosta, per quattro anni tempio del loro inesausto incantamento, per trasferirsi in un più ampio e funzionale appartamento, acquistato, in via Arno 12, nel quale attualmente vivono in felicità, serenità e fervore di produzioni culturali.
Il 9 giugno 1995 si è spenta anche sua madre, appena varcata l'età di 89 anni. Nella casa di riposo in Medicina, ove assieme al marito ha trascorso gli anni conclusivi della sua semplice e buona esistenza, si è mantenuta fisicamente efficiente e mentalmente vigile fino a due mesi prima del transito, avendo partecipato con indicibile strazio alla lievitazione progressiva del male incomprensibile calato addosso al suo consorte. Luciano Lelli non era presente nel momento del trapasso, stranamente avvenuto nel giorno del suo proprio compleanno: rimasto la notte innanzi per ore in veglia al suo capezzale, ne ricorda con commozione l'ultima frase emessa al suo cospetto, una espressione di scusa per il disturbo che stava arrecando.
Attualmente (2006), varcata da non poco la soglia dei sessant'anni,
Luciano Lelli
seguita a riservare la quantità più rilevante del suo tempo e
delle sue energie all'attività professionale di dirigente tecnico dell'Ufficio
Scolastico Regionale per l'Emilia-Romagna, in specie impegnato in problematiche
operative concernenti la formazione del personale scolastico, l'utilizzazione
nella didattica delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, la
gestione dell'informazione e della comunicazione circa le decisioni e le azioni
amministrative e culturali dell'Ufficio Scolastico Regionale per l'Emilia-Romagna,
sia tramite pubblicazioni "cartacee" sia, in particolare, mediante
la manutenzione e l'implementazione del sito WEB di cui è il principale
responsabile. Anche altre innumerevoli incombenze professionali lo assorbono,
come del resto succede da decenni, circostanza che seguita a impedirgli la dedizione
prevalente di se stesso al lavoro culturale che egli, tutto malgrado, continua
a ritenere il più aderente alla sua vocazione, riguardante la produzione
di testi narrativi, la riflessione filosofica e la critica d'arte nonché
studi rigorosi afferenti alle medesime tematiche.
Luciano Lelli ha protratto il suo impegno professionale fino all'estensione
massima dello stesso consentita dalle norme (è comunque pervenuto ormai - giugno
2009 - al termine del suo fin troppo prolungato itinerario di dipendente del
Ministero dell'Istruzione); perché, pur non ritenendosi, come in precedenza già
evidenziato, fornito di una spiccata propensione per siffatto coinvolgimento
esistenziale, ha tuttavia finito - vittima di una sorta di nemesi storica -
con una immersione in esso di tipo presso che totalizzante. Egli, evidentemente,
non è capace di risparmiarsi: se si butta in una impresa, avverte un
condizionamento etico a dare tutto se stesso per il buon esito della partita
in cui si è impegnato. Coltiva però ancora il proposito di selezionare
nell'immediato avvenire con maggiore oculatezza le proprie implicazioni professionali
e di limitarsi perciò alle pratiche operative essenziali e di più
rilevante spessore, sottraendosi con risolutezza alle ridondanze e alle marginalità.
Così, per esemplificare, ha deciso di porre fine ad una esperienza effettuata
negli ultimi due anni (2004 e 2005), di docente (professore a contratto) di pedagogia interculturale
presso l'università di Urbino: perché, tra l'altro, trattasi di
attività che, per venire bene svolta, implica la destinazione di una
quantità di tempo imponente, di cui Luciano Lelli purtroppo non dispone
ed egli, inoltre, non coltiva più ambizioni di carriera universitaria.
Egli confida ancora, mediante appunto una selezione più vigile delle sue dedizioni,
di farcela a ritagliare quote sempre più cospicue delle sue giornate
a vantaggio del lavoro intellettuale "che solum è suo e che egli
nacque per esso", in particolare con la mira di riuscire a portare a conclusione
l'ambizioso romanzo che è da anni in vetta ai suoi pensieri, La cetra
di Davide, di cui ha concluso quasi interamente l'imponente ideazione, nell'elaborazione
strutturale e linguistica del quale egli attualmente, in intensità di
visione e di ispirazione, si cimenta.
Una nota autobiografica, per sua intrinseca natura, è destinata a divenire
parziale, fino a quando l'autore della stessa non arriva all'exit dei suoi
giorni. Sono trascorsi all'incirca tre anni (nel 2006) e altri tre (nel 2009) dalla redazione del testo che
precede, sottoposto a lievi emendamenti, appunto nel 2006 e a qualche ulteriore minimale
integrazione nel 2009. Che cosa è accaduto a Luciano Lelli,
nell'ultimo, appena menzionato, doppio lasso di tempo? Egli seguita imperterrito a
prestare il suo servizio professionale come dirigente dell'Ufficio Scolastico
Regionale per l'Emilia-Romagna, dallo stesso totalmente assorbito, anche se
potrebbe (avrebbe in verità potuto da tempo) porvi termine, avendo ormai
accumulato la rilevantissima mole di quarantacinque anni d'attività professionale
(nel 2006).
Nel periodo citato egli ha assunto e tuttora svolge anche l'incarico di
dirigente amministrativo di un ufficio dell'USR ER, il terzo, responsabilità
operative del quale sono la gestione degli ordinamenti scolastici, la cura della
comunicazione in particolare telematica, l'organizzazione degli eventi, l'uso
nella didattica delle TIC, il funzionamento dei servizi informativi.
Dal 2002 ai primi mesi del 2006 Luciano Lelli, per incarico in sequenza dei
direttori generali Emanuele Barbieri e Lucrezia Stellacci, nell'ambito della
attribuitagli gestione degli ordinamenti scolastici in Emilia-Romagna, ha esplicato la funzione di
"interfaccia" tra l'USR ER e il Ministero, tra l'Ufficio Regionale e le
istituzioni scolastiche nella attuazione della riforma degli ordinamenti messa a
punto e sancita dal governo di centrodestra presieduto da Silvio Berlusconi (la
cosiddetta "riforma Moratti"), nella sensibilizzazione e nella formazione alla
concretizzazione della stessa di docenti e dirigenti scolastici.
Nell'espletamento di detto incarico egli ha compiuto una quantità non
computabile di viaggi a Roma (anche ad adempimento della collaborazione
richiestagli dal Ministero nella redazione di strumenti informativi sulla
riforma per genitori, allievi, insegnanti) e ha incontrato un numero
elevatissimo di collegi dei docenti, dirigenti scolastici convocati in
conferenza, cittadini, genitori degli alunni, sindacalisti, politici (con
capipopolo, sindacalisti e politici ha interagito in svariate assemblee, tavole
rotonde, adunanze). Si è trattato di una esperienza curiosa e stimolante, in
quanto assai spesso, nelle occasioni accennate, Luciano Lelli si è trovato nella
per certi versi divertente posizione di "solo contro tutti", ostinato in analisi
critiche delle pertinenze della riforma su fondamenti epistemologici, storici,
funzionali in ciò contrastato da individui non di rado spregevoli, intrisi di
cieco ideologismo, portatori e propalatori di inverecondi pregiudizi,
probabilmente convinti (dalle parole d'ordine loro impartite a cui sottostavano)
di risiedere nel paradiso della verità, con l'ovvio corollario che gli altri
(nelle contingenze di cui trattasi lo scrivente) o erano miserevoli propugnatori di
un verbo falso e mistificatore oppure irrimediabilmente vagolanti nelle tenebre
di un cosmico misreading e della più sciagurata ebetudine mentale.
La constatazione quasi quotidianamente reiterata dell'atteggiamento assunto dagli oppositori della "riforma Moratti", schizzanti odio e veleno implacabilmente in ogni occasione e circostanza, attoscati da una perenne ubriacatura ideologica, inetti a qualsiasi lettura intelligente ed equilibrata dei documenti sui quali pure pretendevano di egutturare la loro indignazione contrappositiva (innestata nella valutazione più complessiva dei comportamenti politici a tutti i livelli della compagine di centro sinistra all'opposizione) ha progressivamente inoculato in Luciano Lelli una insofferenza e una ostilità sconfinate avverso tale composita aggregazione, dovendola purtroppo reputare lo schieramento minoritario gestore della più abbietta, miserevole e squalificata azione politica e parlamentare in tutta la storia dello stato unitario italiano. Per converso man mano è scemata e si è dissolta la sua distanza ideale e valoriale nei riguardi della cosiddetta "Casa delle Libertà" e del suo leader Silvio Berlusconi, che hanno tutto sommato governato per cinque anni questo disgraziato Paese con avvedutezza, abilità e tensione innovativa, in una contingenza economica internazionale tra l'altro particolarmente impropizia, certamente non coadiuvati nel perseguimento del bene comune appunto da una opposizione per connotare la nefanda negatività della quale non sarebbero sufficienti tutti gli aggettivi qualificativi della lingua italiana designanti ciò che è male, brutto, falso, capace soltanto di denigrare, coprire di insulti, odiare con occhi iniettati di sangue il nemico Silvio Berlusconi, per cinque anni sola ragione della esistenza in vita e dell'azione cialtronesca dei laidi buffoni della sé dicente sinistra.
Nel 2001 Luciano Lelli attribuì la sua preferenza elettorale alla sgangherata coalizione capeggiata dall'ectoplasma Francesco Rutelli, turandosi il naso, per riprendere una nota locuzione di Indro Montanelli, e confidando comunque nella sua prevalenza. Nel 2006, a seguito delle esperienze e delle conseguenti riflessioni sopra rammentate, ha votato per l'aggregazione politica guidata da Silvio Berlusconi, convinto che la stessa avrebbe in ogni caso perso la partita (come poi forse non è avvenuto, non essendo da escludere che la risicatissima maggioranza di suffragi attribuita al centro sinistra sia frutto di imbrogli e truffe nello spoglio dei voti, da parte di ex comunisti e comunisti che in siffatti stravolgimenti della realtà sono da sempre maestri inarrivabili). In entrambe le occasioni, come ripetutamente accaduto lungo l'estensione della sua esistenza, Luciano Lelli ha assegnato la sua preferenza alla fazione sconfitta. Nell'ultimo recente caso non pentendosi affatto della scelta effettuata: essendosi finora espressa la sciagurata banda capeggiata dallo spregevole individuo (tale è la corrente opinione di Luciano Lelli su di lui) Romano Prodi - che intruppa nel proprio vorace ventre due partiti orgogliosi di definirsi comunisti, un gruppuscolo di sé dicenti verdi, in realtà vere e proprie anime nere, e uno schieramento post-comunista nel quale non sono pochi i nostalgici del tempo in cui sotto le bandiere rosse si inneggiava a Giuseppe Stalin, massimo massacratore della storia - come il peggiore governo che mai abbia danneggiato questa sventurata Italia, da quando la stessa ha conseguito, nel 1861, l'unità nazionale.
Fino a pochi anni addietro Luciano Lelli, pur avendo sempre seguito con una certa attenzione le vicende politiche italiane e internazionali, non ha tuttavia mai riversato sulle stesse un interesse spasmodico, reputandole alquanto marginali e irrilevanti nella configurazione e nell'evoluzione della sua esistenza. Grosso modo dal 2003, improvvisamente è lievitata in lui una passione molto vivida per la dimensione della politica, che l'ha spinto a una ristrutturazione davvero radicale dei suoi precedenti orientamenti e gli ha fatto vagheggiare l'opportunità di dedicare alla stessa tempo, energie, impegno intellettuale. Proprio quando, tenendo conto del flusso inesorabile del suo esserci qui e ora e del conseguente ammasso addosso al suo spirito e al suo corpo degli anni, saggio sarebbe, per lui, focalizzare tutto se stesso su ben altri, più qualificanti, elevati ed essenziali - per il senso complessivo della vita e del suo protendersi verso la trascendenza - ambiti di indagine e attività.
Una nota autobiografica
(si reitera qui più o meno una constatazione già sopra esplicitata),
per essere significativa, va ovviamente aggiornata, fino al momento in cui
l'autore e protagonista della stessa non è più in grado di provvedervi per
sopravvenuta estinzione. Questa nota, come sopra specificato messa a punto nel
2002/2003, è stata integrata nel 2006 e alcune revisioni di minima consistenza sono
state apportate al testo nell'anno che corre, 2009. Tali riprese inevitabilmente
determinano nel flusso del racconto qualche sovrapposizione, lacune, marginali
sfasature temporali e qualche difficoltà euristica.
In merito ai più recenti tre anni, Luciano Lelli informa che è seguitato il suo intenso interesse per
le vicende politiche e sociali di questa povera Italia, addirittura in
lievitazione di passione rispetto al passato anche prossimo. Ha esultato quando,
all'inizio del 2006, è infine precipitato nella polvere lo spregevole governo
malamente guidato da Romano Prodi. Ha tratto intima soddisfazione allorché
nell'aprile dello stesso anno lo schieramento con energia e determinazione
condotto da Silvio Berlusconi ha trionfato nel cimento elettorale e ha riassunto
la responsabilità di governo, in un momento di gravissima crisi economica
incombente su tutte le nazioni dell'orbe terracqueo, schiacciando tramite una
valanga di consensi il cosiddetto "Partito Democratico", affidatosi alla
frastornata conduzione di Walter Veltroni, ben presto anch'egli uscito di scena,
come il Prodi.
Sul piano personale, come ha anticipato, è in procinto di concludere
l'attività professionale, estromesso dalla stessa per raggiunti limiti di età
dall'imminente mese di luglio. Ha terminato anche una ennesima triennale
esperienza di docente universitario a contratto: presso l'Università di
Bressanone, dove ha insegnato "Didattica delle scienze dell'educazione", nella
scuola di specializzazione all'insegnamento nella secondaria, accolta una
proposta in merito del professore Franco Frabboni. Ha molto gradito stavolta
l'opportunità offertagli e gli dispiace che essa, per soppressione delle SSIS, sia
arrivata al capolinea. Pazienza.
Ormai tutto il suo impegno intellettuale è riversato nella redazione di
questa
rivista telematica "Terzo Millennio" che, con azzardo assai forte e persistente
implacabile fiducia nel suo futuro esistenziale e culturale, Luciano Lelli sta costruendo come
luogo privilegiato e primario d'espressione di se stesso (in un concerto di voci
secondo il suo giudizio libere, autorevoli e atte a giovare culturalmente ed
eticamente a tutti), rivista telematica che proprio oggi lancia nel mare magnum
di Internet.
1
luglio 2009